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La democrazia corre sul web

Gioia Reffo
26 gennaio 2011
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La democrazia corre sul <i>web</i>

In Giordania è stata la regina Rania a dare l’esempio aprendo un profilo su Twitter e lanciando messaggi alla popolazione tramite i video postati su Youtube. In Libano ci ha pensato il Social Media Exchange a sfruttare le potenzialità del web per promuovere una cultura della pace. Ma anche in altri Paesi del Medio Oriente i social network diventano protagonisti.


(Milano) – In Giordania è stata la regina Rania a dare l’esempio aprendo un profilo su Twitter e lanciando messaggi alla popolazione tramite i video postati su Youtube. In Libano ci ha pensato il Social Media Exchange a sfruttare le potenzialità del web per promuovere una cultura della pace. Ma gli esempi negli altri Paesi del Medio Oriente non mancano e hanno tutti un denominatore comune: i social network. Siti dove è possibile scambiare opinioni, pubblicare foto o video e intavolare discussioni. Vere e proprie piazze virtuali da cui è partita una rivoluzione nemmeno tanto silenziosa. Come dimostrano la vicenda di Wikileaks e la protesta dei giovani tunisini delle settimane scorse.

Senza Facebook infatti il gesto estremo del giovane disoccupato che si è dato fuoco a Sidi Bouzid non avrebbe avuto una risonanza tanto ampia. Mentre Youtube e Dailymotion sono inaccessibili in Tunisia, Facebook funge da valvola di sfogo per i ragazzi che trovano in rete la possibilità di organizzare manifestazioni e cambiare la politica del loro Paese. A diffondere i dispacci pubblicati da Wikileaks nel mondo arabo ci hanno pensato invece i siti Ammannet.net e 7iber.com. Sono loro che hanno tradotto nella lingua di Maometto i cablogrammi riguardanti il Medio Oriente dell’ambasciata Usa in Giordania. La capacità di controllo sulla popolazione ha mostrato le prime crepe anche in Egitto dove, durante il primo turno delle elezioni parlamentari, il governo non ha ammesso osservatori internazionali contro i brogli. A fare da sentinella ci ha pensato il sito UShahid.org («Tu mi sei testimone» in arabo) che ha cercato di colmare il vuoto sollecitando i cittadini a segnalare eventuali problemi. Grazie alla partecipazione degli egiziani U-Shahid ha creato una mappa interattiva consultabile online. Partecipazione dal basso, nessun vincolo e accesso alla rete sono gli ingredienti che hanno determinato il successo dei social network.

A fare il punto della situazione è stata Arianna Huffington, blogger statunitense e autrice del sito di aggregazione di notizie The Huffington Post. Durante un convegno tenutosi a fine novembre scorso ad Abu Dhabi, la Huffington ha evidenziato come i terroristi siano stati i primi a sfruttare la capacità di internet di connettere le persone: dai siti web di Al Qaeda ai video di reclutamento fino ai manuali per kamikaze. «Ma una nuova tendenza sta emergendo ora che gran parte del Medio Oriente è cablato – ha sottolineato Arianna – possiamo utilizzare la tecnologia per discutere di pace e non di terrorismo».

La proposta della Huffington di utilizzare sempre più i social network per promuovere la pace e la sicurezza ha trovato il consenso di molte personalità di spicco intervenute al convegno. Primo fra tutti ministro degli esteri giordano Nasser Judeh protagonista, l’estate scorsa di un’intervista basata sulle domande arrivate via Twitter. La stessa regina di Giordania ha detto, o meglio «twittato», che «La tecnologia non è solo un lusso del mondo sviluppato: è uno strumento cruciale per il mondo in via di sviluppo».

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