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Il vescovo di Tiro: «Il Sud del Libano, una polveriera pronta a esplodere»

Manuela Borraccino
21 ottobre 2010
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Stretti fra i miliziani di Hezbollah «armati fino ai denti» e le incursioni delle forze armate israeliane, i cristiani vivono sulla loro pelle le divisioni del Libano e devono la loro incolumità alla presenza delle truppe Unifil nel sud del Paese. Così l'arcivescovo maronita di Tiro, mons. Chucrallah Nabil Hage, descrive la situazione del suo Paese oggi.


(Roma) – Stretti fra i miliziani di Hezbollah «armati fino ai denti» e le incursioni aeree e per mare delle forze armate israeliane, i cristiani vivono sulla loro pelle le divisioni del Libano e devono la loro incolumità alla presenza delle truppe Unifil nel sud del Paese. Così l’arcivescovo maronita di Tiro, mons. Chucrallah Nabil Hage, ha descritto ieri pomeriggio la situazione nella turbolenta regione al confine fra Libano e Israele, nel corso del convegno Voci dal Vicino Oriente promosso dalla Fondazione Giovanni Paolo II nei pressi del Vaticano.

«La grande sfida oggi in Libano – ha detto – è conservare la convivenza e gestire il suo pluralismo religioso in modo democratico: una sfida che non riguarda solo il Libano, ma anche la comunità internazionale, e credo che l’Italia e il Vaticano possano fare molto per preservare questa coesistenza anche per i legami che storicamente intrattengono con il Paese dei cedri».

L’arcivescovo maronita, che ha elogiato la professionalità e l’impegno dei 2.200 soldati italiani che fanno parte dei 15 mila soldati dell’Unifil in Libano, ha raccontato come la tensione si faccia sentire sempre di più nella zona tra il fiume Litani e il confine con Israele.

«In teoria Hezbollah non dovrebbe esistere in questa regione – ha spiegato – ma tutti sanno che è lì e che i suoi uomini sono dappertutto, perché è una forma di resistenza popolare. In questa zona dove la maggior parte dei villaggi sono sciiti, in ogni casa c’è almeno un giovane di Hezbollah armato e pronto alla guerra. In un’altra zona nei pressi della diocesi si trova un altro gruppo, attrezzato con armi pesanti, che proclama di essere più forte che mai. Questo vuol dire che ogni giorno noi siamo sotto tiro: Israele fa incursioni marine o aeree nel territorio, ci sono pattuglie dell’Unifil che ogni giorno pattugliano la zona, c’è anche l’esercito libanese con 10 mila soldati. Ma la regione è una polveriera che può scoppiare da un momento all’altro».

I miliziani di Hezbollah, ha ricordato il presule, rivendicano il possesso di armi «perché una parte del Paese è ancora sotto l’occupazione israeliana», e non intendono consegnare le armi «finché il Libano non sarà liberato totalmente». Tuttavia la loro ascesa negli ultimi vent’anni «ha creato molti problemi, soprattutto uno squilibrio fra le forze politiche esistenti in Libano: da noi il sistema di potere – ha spiegato mons. Hage – è basato sull’equilibrio fra le comunità, e questo equilibrio è da preservare a tutti i costi. Quando una comunità diventa più forte, le altre hanno paura. Hezbollah, d’altra parte, si trova ad affrontare  due problemi: un problema interno nel rapporto con i sunniti e con una parte dei cristiani, e un problema esterno con Israele».

«La situazione è dunque molto pericolosa – ha ammonito il presule – e rischia di scoppiare in qualsiasi momento. Tra l’altro si teme il pronunciamento del Tribunale speciale delle Nazioni Unite per il Libano: ci sono voci che Hezbollah potrebbe venire accusato per l’omicidio del premier Rafic Hariri. Oggi Hezbollah sta facendo pressione su tutte le comunità perché non partecipino a questo Tribunale di inchiesta, mentre i sunniti sono a favore dell’inchiesta anche perché l’attuale primo ministro è il figlio di Hariri. Noi respiriamo dunque venti di guerra: meno male che la comunità internazionale cerca di mantenere la pace. Speriamo di non scivolare in un nuovo conflitto».

In un simile contesto, è difficile prevedere se i cristiani sapranno trovare un loro ruolo all’interno del difficile equilibrio di minoranze che contraddistingue il Libano. «Nessuno può prevedere se ci saranno ancora cristiani in Libano tra qualche anno. Essi sono divisi – ha rimarcato il vescovo di Tiro – sulla tattica da adottare in politica. C’è chi dice che, essendo in minoranza, dobbiamo allearci con le altre minoranze, ad esempio agli sciiti e agli alawiti. Altri sostengono che, proprio perché siamo così pochi, dovremmo unirci alla maggioranza, che è sunnita. Vai a sapere chi ha ragione. E ci sono poi acerrime rivalità fra i leader cristiani, fra i quali ciascuno vuole primeggiare…».

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