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Israele e 400 bimbi a perdere

Giorgio Bernardelli
10 settembre 2010
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Israele e 400 bimbi a perdere
Un bimbo figlio di lavoratori filippini in Israele.

Non sono i rom di Sarkozy e quindi non ne parla nessuno. Ma anche in Israele ci sono 400 minori stranieri a rischio espulsione. È una vicenda che in questa rubrica seguiamo da tempo e che a fine settembre rischia di arrivare al suo epilogo. Tra un'indifferenza che in Italia per una volta vede mano nella mano filo-israeliani e filo-palestinesi. Ricapitoliamo i fatti.


Non sono i rom di Sarkozy e quindi non ne parla nessuno. Ma anche in Israele ci sono 400 minori stranieri a rischio espulsione. È una vicenda che in questa rubrica seguiamo da tempo e che a fine settembre rischia di arrivare al suo epilogo. Tra un’indifferenza che in Italia per una volta vede mano nella mano filo-israeliani e filo-palestinesi.

Ricapitoliamo i fatti. Israele ha una delle legislazioni al mondo più dure nei confronti dei lavoratori stranieri. È un Paese che ne ha fortemente bisogno: a partire dagli anni Novanta sono stati infatti filippini, indiani, thailandesi, rumeni, cinesi a sostituire in Israele la manodopera palestinese che si occupava dei lavori più umili. Il problema è che – in nome dell’ossessione rispetto al tema dell’ebraicità dello Stato – Israele postula che la loro sia una presenza solo temporanea. Ufficialmente il loro permesso di soggiorno non può essere rinnovato oltre i cinque anni e sei mesi. Non solo: teoricamente non potrebbero nemmeno costruirsi una famiglia nel Paese; la legge dice che se una madre straniera dà alla luce un figlio questi dovrebbe essere rimandato nel Paese d’origine entro il terzo mese, pena la revoca del permesso di soggiorno alla madre. Si tratta di una norma evidentemente inumana e infatti finora si è chiuso più di un occhio. Però ormai questi bambini – che sulla carta non dovrebbero esistere – si vedono. Molti parlano l’ebraico e vanno regolarmente a scuola. E quindi non si può più far finta di niente. Lo stesso governo Netanyahu è diviso rispetto alla questione: l’ala destra – guidata dal ministro dell’Interno Eli Yishai – preme per un provvedimento duro, che scoraggi il fenomeno dell’immigrazione. I laburisti sono invece contro.

Alla fine Netanyahu ha deciso di delegare la questione a una commissione che ha esaminato caso per caso la posizione di 1.200 di questi bambini. Alla fine – in agosto – si è arrivati a una soluzione di compromesso: potranno restare quei bambini che hanno già frequentato un anno di scuola e sono figli di immigrati in grado di dimostrare di essere entrati regolarmente nel Paese, anche nel caso poi siano diventati clandestini. Conti alla mano questo significa che 800 possono restare e il primo settembre hanno ricominciato la scuola con gli altri compagni. Ma stando a questi criteri 400 bambini dovrebbero comunque essere espulsi.

La vicenda fa però discutere in Israele. Lo stesso presidente Shimon Peres ha dichiarato che è impensabile per un Paese con la storia che ha Israele pensare di caricare 400 bambini su un aereo e rispedirli dall’altra parte del mondo, lontani dai loro genitori. E anche il ministro della Difesa Ehud Barak ha chiesto che la questione sia riesaminata dal governo, protestando per il fatto che è stata portata in discussione mentre lui si trovava a Washington. Yishai non vuole però sentire ragioni. E proprio pochi giorni fa Yediot Ahronot ha pubblicato un articolo in cui si racconta che al ministero dell’Interno hanno già cominciato a contare i trenta giorni di tempo a disposizione per i rimpatri volontari. Passate le festività ebraiche – dunque – potrebbero scattare le espulsioni. Anche se il movimento dei kibbutz è pronto a dare battaglia: ha annunciato che se scatteranno le espulsioni nasconderà nelle proprie case i bambini.

Si badi bene: qui non si sta parlando di cittadinanza e di seconde generazioni, ma del semplice diritto dei bambini a risiedere nel Paese insieme ai propri genitori. Molte comunità ebraiche in tutto il mondo si sono espresse in difesa di questi bambini. Duole invece constatare l’assoluto silenzio dell’Italia su questa vicenda. Ennesima conferma di come nel nostro Paese non ci sia spazio per riflessioni che escono dalle banali contrapposizioni ideologiche sul Medio Oriente.

Invece sarebbe un dibattito importante quello sulla dignità degli immigrati in Israele. Perché la questione dei bambini è la cartina di tornasole per tutta una serie di problemi. Come scriveva ieri su Haaretz Ran Cohen, dell’associazione Physicians for Human Rights, è tutta la condizione dei migranti a essere mantenuta in un limbo giuridico che di fatto priva alcune persone di diritti umani fondamentali. Non portano una kefiah né una bandiera di Israele, ma in Medio Oriente oggi ci sono anche loro. Non è che forse ripartire dal rispetto per la loro dignità potrebbe insegnare anche tante altre cose in questo conflitto infinito in cui le ideologie ormai calpestano ogni cosa?

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot

Clicca qui per leggere l’articolo di Ran Cohen su Haaretz

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