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Quei bambini col foglio di via

Giorgio Bernardelli
6 maggio 2010
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Se ne parla pochissimo, ma in Israele si sta avvicinando la scadenza di un ultimatum: con la fine dell’anno scolastico tornerà a farsi incerto anche il destino di 1.200 bambini figli di lavoratori stranieri presenti in Israele. Per questo motivo diverse voci della società civile israeliana si stanno mobilitando.


Se ne parla pochissimo, ma in Israele si sta avvicinando la scadenza di un ultimatum: con la fine dell’anno scolastico tornerà a farsi incerto anche il destino di 1.200 bambini figli di lavoratori stranieri presenti in Israele. Per questo motivo diverse voci della società civile israeliana si stanno mobilitando.

È una vicenda che porta in primo piano una situazione di palese ingiustizia. Come in tanti altri Paesi anche in Israele è cresciuta in questi ultimi anni la presenza di immigrati stranieri, richiesti dal mercato del lavoro. Il boom si è avuto a partire dagli anni Novanta, quando con la politica dei blocchi dei Territori dettata da ragioni di sicurezza è diventato sempre più difficile il ricorso alla manodopera palestinese. Così a sostituire questa forza lavoro sono arrivati migliaia di thailandesi, filippini, indiani, rumeni, moldavi, nepalesi… Si calcola che attualmente siano oltre 300 mila e tra loro – come abbiamo già più volte raccontato su questo sito – ci sono anche migliaia di cristiani. Non sono né israeliani né palestinesi, ma si trovano anche loro a vivere pesantemente le conseguenze del conflitto, soprattutto per un aspetto: per salvaguardare l’identità ebraica dello Stato, il governo di Israele postula che la loro sia una presenza temporanea. Dunque – almeno in teoria – ciascuno di loro non potrebbe rimanere nel Paese per più di cinque anni. Inoltre Israele non vuole che mettano su famiglia. E allora la legge prevede che le madri straniere che hanno un figlio debbano rimandarlo nel loro Paese d’origine entro i primi tre mesi, pena la perdita del diritto al permesso di soggiorno.

Si tratta di una legge che – da qualunque parte la si guardi – non si può che definire disumana. E la riprova è proprio il fatto che è inapplicata. Solo che ormai il nodo è venuto al pettine: attualmente nelle scuole israeliane di ogni ordine e grado ci sono infatti 1.200 bambini stranieri che in teoria non dovrebbero esistere. Il ministro degli Interni Eli Yishai – che è anche il leader dello Shas, il partito religioso sefardita – è il fautore della linea dura: da quando è entrato in carica invoca l’espulsione di questi minori, nell’ambito di una più generale stretta sull’immigrazione. Fortunatamente, almeno sul caso dei minori, non tutti nel governo Netanyahu sono d’accordo e così a novembre si è arrivati al classico compromesso: si è deciso che potevano rimanere fino alla fine dell’anno scolastico. Intanto il ministero degli Interni avrebbe istituito una commissione per una valutazione caso per caso da completarsi entro la fine di maggio.

Le due scadenze si stanno dunque avvicinando. E così le associazioni che difendono i diritti dei bambini immigrati si muovono. Il vicariato per i cattolici di espressione ebraica ha pubblicato sul suo sito i link a due video musicali realizzati per sostenere i diritti di questi piccoli. La prima canzone si intitola «La mia casa, la tua casa», è stata scritta da Yuval Elbashan e Guy Maroz e – come spesso accade per questo tipo di campagne – è cantata da una serie di personalità della politica e della società israeliana. Tra loro ci sono anche un ministro (il laburista Avishai Brawerman) e due firme importanti di Haaretz come Gideon Levi e Yossi Sarid. L’altro brano è invece cantato direttamente dai ragazzi di una classe multietnica della scuola Bialik Rogozin di Tel Aviv, con immagini della loro vita quotidiana insieme sui banchi di scuola.

È una battaglia importante quella per i 1.200 bambini stranieri a rischio di espulsione. È la dimostrazione di come la logica del conflitto stia portando questo angolo del mondo alla follia anche nelle sue scelte più quotidiane. Si possono fare tutti i ragionamenti possibili in materia di immigrazione, ma in nessuna parte del mondo riterremmo tollerabile una legge che imponga a una madre di separarsi da un figlio di tre mesi. Ci spacchiamo sempre fra filo-israeliani e filo-palestinesi. Forse ripartire da questi piccoli che non stanno né da una parte né dall’altra della barricata, potrebbe aiutarci tutti a mettere al centro quel riconoscimento della dignità di ogni persona che è l’unica strada vera per costruire la pace.

Clicca qui per leggere l’articolo in cui nel novembre scorso Yediot Ahronot dava notizia della proroga decisa da Netanyahu

Clicca qui per vedere i video pubblicati sul sito del vicariato dei cattolici di espressione ebraica

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