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Fayyad ribadisce: lo Stato palestinese si imporrà coi fatti

Terrasanta.net
6 aprile 2010
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Fayyad ribadisce: lo Stato palestinese si imporrà coi fatti
(clicca sulla foto per lanciare il video)

Il primo ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese, Salam Fayyad, va alla carica. Sulla stampa israeliana nelle feste pasquali dei giorni scorsi s'è detto certo che il suo popolo avrà presto un nuovo Stato, capace di vivere accanto a Israele con pari dignità e con Gerusalemme Est come sua capitale. Il tempo stringe: questione di un anno, al massimo due.


(Milano – g.s.) – Il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese tira dritto, con il piede sull’acceleratore. Più volte nei giorni scorsi, festività pasquali per ebrei e cristiani, è tornato sul tema che dall’agosto 2009 è un suo cavallo di battaglia: la nascita imminente dello Stato palestinese.

«Il momento di dare alla luce questo bimbo arriverà e noi riteniamo che sarà intorno al 2011», ha detto Fayyad riferendosi al nuovo Stato in un’intervista pubblicata il 3 aprile dal quotidiano Haaretz.

L’uomo politico precisa di non pensare a uno Stato fatto con gli avanzi (territoriali che Israele è disposto a concedere – ndr) e di puntare a raggiungere l’obiettivo entro il termine del (primo) mandato di Barack Obama alla Casa Bianca, che cadrà nel 2012.

A quali confini territoriali pensa il primo ministro? «Da un punto di vista politico – risponde – sentiamo di aver diritto a tutti i Territori occupati nel 1967, inclusa Gerusalemme Est». La spinosa questione di Gerusalemme, che gli ebrei considerano capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico, non può essere lasciata in coda ai negoziati, ma va definita proprio in apertura – auspica Fayyad – e applicando criteri politici, senza presumere che conti unicamente la narrativa ebraica che evoca il ruolo biblico e storico della Città Santa per Israele.

La moratoria di dieci mesi sugli insediamenti in Cisgiordania proclamata dal governo israeliano, secondo il dirigente palestinese presenta la pecca fondamentale di non congelare le costruzioni Gerusalemme Est e nelle aree limitrofe. Fayyad si rammarica che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia ceduto alle pressioni dei coloni in Cisgiordania e rimarca che la pace sarà il frutto di un confronto «tra uguali e non tra padroni e schiavi».

Ribadisce poi la linea del suo governo: porre in essere una serie di fatti sul terreno che rendano quella dello Stato palestinese una realtà innegabile, ancor prima che giunga il riconoscimento diplomatico e giuridico della comunità internazionale e di Israele.

Il primo ministro difende poi il diritto del suo popolo alla resistenza contro l’occupazione israeliana dei Territori: «Non si può pretendere da nessuno che avalli un’ingiustizia, tanto meno dai palestinesi, che hanno sopportato decenni di occupazione. Non è quello che (il Mahatma) Gandhi e Martin Luther King hanno sostenuto?».

Quando Haaretz gli chiede come sia possibile immaginare uno Stato palestinese quando la Striscia di Gaza è sotto il controllo di Hamas e le elezioni vengono continuamente rinviate, Fayyad risponde: «Anche la popolazione di Gaza guarda a noi e ci dice che vuole una vita migliore. Guardate a come siamo frammentati in Cisgiordania. Gaza al contrario può essere attraversata da nord a sud e da est a ovest 10 o 20 volte in un solo giorno. Quello che siamo riusciti a ottenere in Cisgiordania in un anno, potremmo farlo a Gaza in due mesi».

Altro tema spinoso: il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Fayyad è netto: tutti i palestinesi avranno diritto a risiedere entro i confini dello Stato di Palestina. 

Tatticamente il primo ministro dell’Anp punta a trarre il massimo vantaggio da una congiuntura che vede il governo israeliano in difficoltà sul versante delle relazioni internazionali, mentre la dirigenza dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), alla testa dell’Autorità Nazionale Palestinese, gode di favore. Il 19 marzo scorso nel vertice del Quartetto (Onu, Usa, Unione Europea e Russia) svoltosi a Mosca ha incassato l’avallo all’idea che i negoziati tra Israele e palestinesi debbano portare entro 24 mesi alla fine dell’occupazione iniziata nel 1967 e alla nascita di uno Stato palestinese democratico e indipendente, «capace di vivere in pace e sicurezza accanto a Israele e ai suoi altri vicini».

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