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Elie Wiesel, Gerusalemme e la politica

Giorgio Bernardelli
22 aprile 2010
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Da alcuni mesi la questione di Gerusalemme è al centro di ogni riflessione sul Medio Oriente. In questi giorni è sceso in campo un pezzo da novanta come il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, con un'inserzione fatta pubblicare a pagamento sui più importanti quotidiani americani. Un intervento, il suo, che ha fatto discutere.


Da alcuni mesi la questione di Gerusalemme è al centro di ogni riflessione sul Medio Oriente. Così, in questi giorni di celebrazioni per Israele, è avvenuto un fatto significativo: sul tema della Città Santa è sceso in campo un pezzo da novanta come il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, con un’inserzione fatta pubblicare a pagamento sui più importanti quotidiani americani. Un intervento per molti versi discutibile.

Che cosa ha scritto, infatti, Elie Wiesel? Riportiamo qui sotto il link al testo integrale della sua lettera aperta, rilanciata da Arutz Sheva. La tesi di fondo è che «Gerusalemme deve essere al di sopra della politica». Il problema, però, è che il grande testimone dei campi di sterminio, anziché volare alto, alla fine infarcisce il suo testo proprio con gli slogan di chi ha fatto di Gerusalemme il suo principale slogan politico: la destra religiosa israeliana. Non è un caso che proprio Arutz Sheva rilanci con tanta enfasi la lettera di Wiesel. Un conto, infatti, è riaffermare (doverosamente) l’unicità del legame tra l’ebraismo e Gerusalemme. Un altro è buttare dentro argomentazioni tipo «Gerusalemme non è nominata nel Corano» (che è un po’ come dire che quattordici secoli di storia non significano nulla).

Due cose che scrive Wiesel, poi, non sono affatto vere: intanto quello attuale non è il primo periodo nella storia in cui ebrei, cristiani e musulmani possono pregare liberamente a Gerusalemme. Primo perché esistono comunque delle restrizioni, come hanno ben sperimentato quest’anno i cristiani palestinesi che non hanno potuto recarsi a Pasqua al Santo Sepolcro solo perché la festa coincideva con la Pasqua ebraica. Secondo perché già durante il regno del califfo musulmano Omar, nel VII secolo, a Gerusalemme il culto non era affatto vietato a ebrei e cristiani. Wiesel non lo sa e glielo perdoniamo. Anche perché nel suo scritto la seconda falsità è ancora più grossa: sostiene che anche i cristiani e i musulmani oggi possono costruire dove vogliono a Gerusalemme. Non è così e atti difficilmente contestabili come le licenze edilizie rilasciate dalla Municipalità di Gerusalemme su questo parlano chiaro.

Tutto ciò ha portato Yossi Sarid – una delle firme più note di Haaretz – a rispondergli con un’altra lettera in cui scrive a Wiesel che evidentemente lui «conosce bene la Gerusalemme celeste, ma un po’ meno come vanno le cose nella sua controparte qui sulla terra». È però soprattutto l’idea di una santità di Gerusalemme intesa come qualcosa che la collocherebbe fuori dai problemi della storia la parte più interessante della risposta di Sarid. «Perché Gerusalemme dovrebbe essere sopra la politica? – scrive -. Non è forse la politica a occuparsi delle questioni più importanti per l’umanità, quelle che riguardano la guerra e la pace, la vita e la morte? E non è la vita stessa più sacra di qualsiasi diritto storico, della memoria personale o collettiva, più sacra persino di Gerusalemme? L’uomo vivente ha sempre la precedenza sui morti, e così il presente e il futuro rispetto al passato. Nel mondo non c’è mai niente che può stare “al di sopra della politica”. Certo, la politica può creare problemi, ma è solo attraverso di essa che questi stessi problemi possono essere risolti».

Leggendo questa frase mi è venuta in mente una cosa curiosa che ho scoperto l’altra settimana sul blog di Bible Places. Accanto alla Porta di Jaffa – che dà il nome a questa rubrica – per quindici anni all’inizio del Novecento c’è stata una torre con un orologio. L’avevano fatta costruire gli Ottomani in uno slancio di modernità. Il blog riporta le foto: l’accostamento era decisamente orribile. Così appena arrivarono gli inglesi (e senza più il rischio di essere accusati di voler mancare di rispetto al sovrano…) fu smantellata senza troppi problemi. Ma Gerusalemme non poteva fare a meno di una torre con l’orologio e così fu riedificata accanto all’Ufficio Postale a Jaffa Street, il cuore della nuova Gerusalemme ebraica. Anche lì – però – ebbe vita breve: quando negli anni Trenta fu necessario ampliare la strada, le torri con l’orologio avevano già perso molto del loro fascino. Così fu abbattuta e non ne è rimasta traccia a Gerusalemme.

Che cosa c’entra con la lettera di Elie Wiesel? Forse gli farebbe bene andare a rileggersi questa storia. Perché ci racconta una Gerusalemme molto umana e con i piedi ben piantati per terra. In questo kolossal vivente che sta diventando la Città Santa – tutta piena di iperboli retoriche e nuovi palazzi sontuosi – è proprio questo suo volto normale (e anche un po’ ironico) ciò che facciamo sempre più fatica a ritrovare.

Clicca qui per leggere la lettera aperta di Elie Wiesel
Clicca qui per leggere la risposta di Yossi Sarid
Clicca qui per leggere il post sulla torre dell’orologio alla Porta di Jaffa

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