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Alle origini quale spirito animava la fraternità degli amici di Francesco? Ecco come nasce la «minorità», il sogno rivoluzionario di essere «idioti e sottomessi» per il Vangelo.

Chi è più grande diventi «piccolo»

padre Giorgio Vigna ofm
7 aprile 2010
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Chi è più grande diventi «piccolo»
San Francesco manda a predicare la penitenza, mosaico di Marko Rupnik, chiesa inferiore di San Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo (Foggia)

I suoi giovani amici «lo elessero re della festa» (Tommaso da Celano, Vita seconda 7 /FF 588); d’altra parte a Francesco piaceva andare a zonzo per Assisi giorno e notte, spendendo in divertimenti il denaro di cui disponeva (cfr Leggenda dei Tre Compagni 2 /FF 196). La sua allegria, la sua generosità e cortesia facevano di lui un trascinatore. A questo stesso uomo cominciarono poi ad interessarsi uomini e donne affascinati dalla strana vita che aveva intrapreso «dopo che il Signore gli diede così di incominciare a fare penitenza» (Testamento 1 /FF 110). Ma l’arrivo di compagni è interpretato «teologicamente» da Francesco come uno dei doni del Signore (Testamento 14 /FF 116) fondanti la sua vita cristiana. La fraternità che ne nasce assume la «forma del santo Vangelo» approvata da papa Innocenzo III (Testamento 14-17 /FF 116-117), e inizia con la lieta spogliazione dei propri beni.

Francesco prosegue il ricordo di altri tratti della vita della fraternità primitiva, accennandoli come con rapide pennellate ma senza un particolare ordine (Testamento 18-19 /FF 118). «Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese». Si tratta qui della preghiera per i chierici, che segue le prescrizioni della Chiesa romana, e la preghiera del Signore per i laici. Tale usanza iniziale sarà poi regolamentata con maggiore precisione canonica nelle Regole successive del 1221 e del 1223 (FF 9-10 e 82-83).

«Ed eravamo idioti e sottomessi a tutti» (Testamento 19 /FF 118). La frase non è di semplice comprensione. La parola «idioti» è la traduzione materiale di «idiotae», che nel latino medievale indica una persona ignorante, non scolarizzata. Ora tale attributo applicato a Francesco e ai suoi compagni va sfumato. Dalle fonti biografiche antiche abbiamo molti indizi per sostenere che Francesco possedeva una cultura generale decisamente rispettabile. Infatti aveva «una certa conoscenza delle lettere» (San Bonaventura, Leggenda minore I,1 /FF 1330), avendo frequentato la scuola annessa alla chiesa di San Giorgio (Idem, Leggenda maggiore XV,5 /FF 1250); conosceva il francese perché in questa lingua improvvisava canzoni (Leggenda dei Tre Compagni 33 /FF 1436); e aveva una grande abilità nell’uso delle Scritture con cui arricchiva i suoi insegnamenti e le sue preghiere, come mostrano tutti i suoi scritti. Un uomo dunque di livello culturale più che rispettabile! Quanto ai primissimi frati, non dimentichiamo la figura eminente di Pietro Cattani «iuris peritus» (Cronaca di Giordano da Giano, 11), che diventerà vicario dell’Ordine. La seconda parte della frase è però sufficientemente chiara. La sottomissione è più che una virtù. Infatti oltre a caratterizzare le relazioni interpersonali in nome dell’umiltà, essa designa la collocazione nel mondo sociale (civile ed ecclesiastico), essendo legata alla minorità. Ora, in quel tempo il minor era colui che, per cultura, disponibilità economica e militare non aveva alcun potere politico né aveva accesso agli alti ranghi della società, in opposizione al maior che invece «contava» e «poteva dire la sua».

L’essere minori, inoltre, ha un ragione evangelica: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande (maior) diventi come il più piccolo (minor), e chi governa come colui che serve» (Lc 22,25-26). Lasciamo ora la parola a Francesco: «Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli amministratori né i cancellieri, né presiedano nelle case in cui prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scandalo o che porti danno alla loro anima; ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa" (Regola non bollata VII,1-2 /FF 24). E a fra Tommaso da Celano: «Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: "Siano minori", appena l’ebbe udite esclamò: "Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori". E realmente erano minori, sottomessi a tutti e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione» (Vita prima 38 /FF 386). Riprendendo allora la frase nel suo complesso, «idioti e sottomessi» vanno intesi sulla linea dello stile della minorità che impedisce di assumere nella società posti di rilievo, nemmeno nell’ambito della cultura.

Vivere insieme (fraternità) e porsi nel mondo (minorità) con questo ideale non fu e non è forse una provocazione evangelicamente inquietante?

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