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L’economia palestinese si rafforza in Cisgiordania

02/03/2010  |  Milano
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L’economia palestinese si rafforza in Cisgiordania
Operaio palestinese al lavoro in una fabbrica in Cisgiordania.

A dispetto «dell'occupazione, della dipendenza da Israele e delle previsioni negative», l'economia palestinese è cresciuta del 6 per cento nel 2009 ed il potenziamento dei rapporti commerciali nella regione e con Paesi come l'Italia potrebbe consolidare questi risultati. Mahdi Al Masri, il presidente della Confindustria palestinese ha rivolto questo messaggio agli imprenditori riuniti a Roma nei giorni scorsi per il Forum economico del Mediterraneo.


A dispetto «dell’occupazione, della dipendenza da Israele e della crisi», l’economia palestinese è cresciuta del 6 per cento nel 2009 e l’aumento degli scambi commerciali nella regione e con Paesi come l’Italia potrebbe consolidare questi risultati. Mahdi Al Masri, il presidente della Federazione delle industrie palestinesi, con sede a Ramallah, ha rivolto questo messaggio agli imprenditori riuniti a Roma nei giorni scorsi per il Forum economico del Mediterraneo promosso da Confindustria e dall’Istituto per il Commercio Estero, a pochi giorni dalla visita in Italia del premier palestinese Salam Fayyad in occasione dell’Italian-Palestinian Business Forum in programma a Milano il 4 marzo.

«La produzione industriale contribuisce al 15 per cento del Pil nazionale, ma il principale ostacolo allo sviluppo dell’economia è l’occupazione, che continua a strangolare la vita civile dei palestinesi e non solo quella delle aziende» ha ricordato Al Masri durante il Forum che ha riunito i rappresentanti di 600 imprese, 400 italiane e 200 arrivate dall’area del Mediterraneo, che secondo gli organizzatori rappresentavano il 30 per cento dell’import-export fra l’Italia e i 13 Paesi coinvolti (Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Malta, Marocco, Territori Palestinesi, Siria, Turchia, Tunisia).

Secondo i dati dell’Istituto per il commercio estero italiano (Ice), nonostante la perdurante situazione di sofferenza in Cisgiordania dovuta agli ostacoli alla libertà di movimento delle persone e delle merci e all’accesso nei Territori, il mercato presenta sacche di vitalità e l’interscambio commerciale dai Territori verso i partner dei Paesi della regione prosegue, mentre l’isolamento imposto alla Striscia di Gaza da Israele rende la Striscia un territorio off-limits per qualsiasi impresa commerciale o economica. Il Fondo monetario internazionale stima che anche per il 2010 l’economia crescerà a ritmi superiori al 6 per cento e l’Autorità Nazionale Palestinese sta intensificando i propri sforzi a sostegno dell’imprenditoria privata.

Al Masri conferma le indiscrezioni circolate nei mesi scorsi secondo le quali Israele sta riducendo silenziosamente i controlli su chi si muove per lavoro ma, rimarca, «è davvero troppo poco quello che viene fatto rispetto alle necessità della popolazione in generale e degli imprenditori in particolare». Il tasso di disoccupazione in Cisgiordania è stato nel 2008 del 19 per cento: un dato che si riferisce ai soli uomini, visto che secondo le stime ufficiali palestinesi l’occupazione femminile è ferma al 18 per cento delle donne fra i 18 e i 65 anni.

Secondo le stime dell’Ufficio centrale di statistica palestinese, il valore totale delle esportazioni nel 2008 è stato di 513 milioni di dollari. Il principale mercato di esportazione è Israele (per 455 milioni nel 2008), seguito dai Paesi arabi. «Siamo in tutto e per tutto dipendenti dall’economia israeliana, e questa stessa dipendenza impedisce qualsiasi piano di business e di sviluppo di una qualche forma di autonomia nazionale» rimarca Al Masri. Per questo la misura della solidarietà internazionale per il popolo palestinese passa anche dall’aumento degli investimenti nell’area: «Siamo un Paese in via di sviluppo – afferma – e ci sono centinaia di opportunità per gli imprenditori italiani che volessero investire in Palestina, a cominciare dal turismo».

Si calcola che nel 2008 i settori industriali che maggiormente hanno contribuito all’aumento dell’indice di produzione siano stati quello dell’editoria e stampa (+39 per cento), del tessile (+13,35 per cento) e dell’abbigliamento (+8,5 per cento). Una vitalità dovuta in parte anche in questo caso alla dipendenza da Israele, come conferma a Terrasanta.net il presidente dell’Unione degli industriali tessili palestinesi (la Union of Palestinian Textile Industries con sede a Betlemme), Tarek R. Sous: «Della nostra associazione fanno parte circa 220 piccole e medie imprese, che lavorano in gran parte come terzisti per le aziende israeliane: fino al 2000 avevamo circa 55 mila impiegati, al 90 per cento donne, ma, dopo lo scoppio della seconda intifada, nel 2001 il numero delle lavoratrici è sceso a circa 16 mila».

In un Paese in via di sviluppo il capitale umano è la risorsa maggiore e nel caso della Palestina, dove il 43,5 per cento della popolazione ha meno di 16 anni, le imprese straniere possono fare molto per creare lavoro e fare formazione professionale per i più giovani: «Dovendo lavorare per i marchi israeliani, i nostri standard qualitativi sono necessariamente alti: dunque ci sono davvero ampi spazi di partnership con le aziende estere» conferma Sous.

Un’ulteriore opportunità è offerta dalla stessa disposizione geografica nell’area di Betlemme di numerose aziende tessili, rimarca l’imprenditore, che tra l’altro è cristiano. Perché a Betlemme si trova l’unica «zona franca» creata finora dalla Palestinian Industrial Estates & Free Zone Authority (Piefza), l’agenzia palestinese che attua, insieme agli investitori stranieri, un importante programma di sviluppo delle zone industriali, localizzate per lo più alla frontiera con un Paese vicino (Israele, Egitto, Giordania) in modo da facilitare il trasporto e la distribuzione delle merci. Tali zone sono dotate di infrastrutture e servizi che rispondono a standard internazionali di qualità e sono state create proprio per attirare gli investitori stranieri e le imprese orientate all’esportazione. In queste zone Piefza ha il ruolo di interlocutore unico, facilitando le procedure amministrative per gli investimenti. La prima zona franca è stata inaugurata nell’aprile 2009 a Betlemme (finanziata da fondi privati, metà francesi e metà palestinesi), ed ospita un centro di formazione finanziato dalla Francia.

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