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L’Iran oltre i cliché

Simone Esposito
3 febbraio 2010
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L’Iran oltre i <i>cliché</i>

Raccontare il Medio Oriente di oggi, con le sue questioni complicate e la sua quotidianità nascosta, attraverso l'occhio della cinepresa guidato da una pattuglia di giovani registi locali. È Film Middle East NOW, la rassegna internazionale di film e documentari organizzata a Firenze da Map of Creation, un'associazione culturale fiorentina no profit che si occupa di documentaristica e di eventi culturali. In cartellone, dal 3 al 7 febbraio, ci sono 14 opere. Fiore all'occhiello della rassegna è un focus sull'Iran, dal quale arrivano ben 8 film.


Raccontare il Medio Oriente di oggi, con le sue questioni complicate e con la sua quotidianità nascosta, attraverso l’occhio della cinepresa guidato da una pattuglia di giovani registi locali. È Film Middle East NOW, la rassegna internazionale di film e documentari organizzata a Firenze da Map of Creation, un’associazione culturale fiorentina no profit che si occupa di documentaristica e di eventi culturali.

In cartellone, dal 3 al 7 febbraio, ci sono 14 opere arrivate da Iran, Israele, Palestina, Iraq, Kurdistan, Afghanistan e Libano. Tra i registi, molte promesse della cinematografia mediorientale, alcune già mantenute (e premiate): come l’iraniano Arash Rihai, che con il For a moment freedom ha ottenuto di rappresentare l’Austria (la nazione in cui vive ora) agli Oscar 2010, o come la palestinese-americana Cherien Dabis, premio della critica all’ultimo festival di Cannes con Amreeka.

Fiore all’occhiello della rassegna è un focus sull’Iran, dal quale arrivano ben 8 film. Ad aprire questo spazio, e l’intero festival, una presenza importante: About Elly, Orso d’argento al Festival di Berlino 2009 e candidato agli Oscar per l’Iran, proiettato con la partecipazione del regista Asghar Faradhi. In totale sono 5 i registi presenti e 7 le anteprime, 6 italiane e una europea (il programma completo è disponibile sul sito web della rassegna)

«Abbiamo scelto di puntare l’attenzione sull’Iran innanzitutto per il momento storico che questo Paese sta attraversando, una situazione che è sotto gli occhi di tutti attraverso i mezzi d’informazione», spiega a Terrasanta.net la direttrice artistica di Film Middle East Now, Lisa Chiari. «Ma a noi – continua – interessava soprattutto fare qualcosa di più: poter ospitare dei film in grado di rappresentare l’Iran oltre i nostri cliché, di raccontare una società che, dietro i suoi grandi problemi, nasconde anche risorse che non immaginiamo. Avevamo qualche contatto sul posto, e poi abbiamo girato tanti festival alla ricerca delle pellicole giuste da proiettare. Le abbiamo trovate: lì ci sono molti giovani registi di talento. Il nostro focus, alla fine, racconta l’Iran con gli occhi degli iraniani, che sono gli unici che possono descrivere la complessità della loro società attraverso la quotidianità. Abbiamo guardato, come per i film di altre provenienze, alla qualità cinematografica. Ma nel caso dell’Iran non è stato l’unico criterio, proprio perché volevamo dare una rappresentazione vera, sincera, di quella società».

Ad arricchire lo sguardo sull’Iran c’è anche una mostra fotografica, Camminami sugli occhi, la prima personale fiorentina (fino al 14 marzo) di Paolo Woods. Olandese con origini canadesi che lavora a Parigi ma che è cresciuto proprio a Firenze, il fotografo ha alle spalle collaborazioni prestigiose con Time, Newsweek, Stern e Le Monde, e un premio World Press Photo. «Le foto di Woods – ci dice Chiari – si sposano benissimo con il nostro intento narrativo, e quindi è stata una scelta naturale collegare mostra e rassegna. Dietro quelle fotografie, che sono un mezzo potente come il cinema, c’è l’Iran che non ti aspetti, quello rappresentato dai singoli iraniani. Solo un esempio: chi si immagina che, in un regime come quello, possa esistere una donna dentista che cura gli uomini? Eppure una c’è, e Woods l’ha ritratta».

Quello che viene fuori dal programma di Film Middle East Now è una forte volontà di raccontare il Medio Oriente. Come mai, chiediamo alla direttrice, una realtà come Map of Creation, che non si occupa ordinariamente di queste tematiche, ha fatto questa scelta? «Perché siamo a 7 mila chilometri da New York, 16 mila da Sydney e soltanto 3.500 da Teheran, eppure sappiamo qualunque cosa dell’America e dell’Australia, come se fossero vicine, e molto di meno del Medio Oriente. Ecco perché abbiamo realizzato la rassegna, ci è sembrata una cosa persino necessaria, oggi in particolare. Noi crediamo nell’immagine come occasione per avvicinarsi e scoprire, nonostante un momento storico e una situazione politica difficili, nonostante le distanze culturali, che non siamo poi così diversi e che c’è voglia di dialogo e confronto».

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