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Gaza e Sderot, in parallelo

30/11/2009  |  Milano
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Le telecamere entrano per dieci settimane nelle case di quattordici persone in due cittadine limitrofe, catturando frammenti della loro quotidianità che vengono rimontati in ottanta video di due minuti. Non è l'ennesimo reality show o un qualsiasi Grande Fratello. Il progetto televisivo di cui stiamo parlando, Gaza/Sderot: Life in Spite of Everything segue la vita di quattordici persone: sette vivono a Gaza, sette a Sderot. In mezzo ci sono soltanto tre chilometri, ma anche una delle frontiere più dolorose del pianeta.


Le telecamere entrano per dieci settimane nelle case di quattordici persone in due cittadine limitrofe, catturando frammenti della loro quotidianità che vengono rimontati in ottanta video di due minuti. Vista in questi termini, la faccenda lascia pochi dubbi: si tratta dell’ennesimo reality show. Non è così. Tra un qualsiasi Grande Fratello e il progetto televisivo di cui stiamo parlando, Gaza/Sderot: Life in Spite of Everything («Gaza/Sderot: La vita nonostante tutto»), passa la distanza incolmabile che separa la reality dalla realtà. Una realtà difficile, in questo caso: quella della vita sul confine tra Israele e la Striscia di Gaza.

Prodotto e trasmesso lo scorso anno dal canale culturale franco-tedesco Arte, Gaza/Sderot è appena arrivato in Italia. Va in onda (con i sottotitoli) dal 23 novembre scorso tutti i giorni alle 20.15 in esclusiva su Bonsai, disponibile sul canale 10 della piattaforma Alice Home Tv e (gratis) sulla web-tv Yalp!.

Il progetto (vincitore, lo scorso anno, del prestigioso Prix Europe) è questo: Arte ha mandato due troupe, in co-produzione con l’israeliana Alma Films e la palestinese Ramattan Studios, a seguire la vita di quattordici persone. Sette vivono a Gaza, sette abitano a Sderot. In mezzo ci sono soltanto tre chilometri, ma anche una delle frontiere più dolorose del pianeta. E così, per quasi due mesi, l’esistenza di questi quattordici uomini e donne, le loro occupazioni, la famiglia, le case, la vita sociale è stata fissata in centosessanta minuti di riprese, che hanno dato vita alla messa in onda di quaranta puntate da quattro minuti l’una. Ogni giorno due storie: una da Gaza, una da Sderot. Una visione parallela e inscindibile, per raccontare come la vita vada avanti in spite of everything, nonostante tutto. Nonostante la paura delle bombe e dei missili, nonostante lo stato d’assedio permanente, nonostante la diffidenza reciproca, nonostante la stanchezza della tensione continua.

«Abbiamo provato a far parlare questa gente, a raccontare le storie di ciascuno dei due lati del confine», ha spiegato, parlando del programma, il produttore esecutivo Alex Szalat. «Perché le banalità della vita quotidiana di queste due città dice molto di più delle grandi sofferenze. Qui non si fanno chiacchiere inutili, non ci sono false pretese, ma solo parole chiare. Parole non calcolate, spontanee, in presa diretta dal presente. Questo è che quello che un documentario potenziato dalla trasmissione via internet ci permette di fare oggi».

Le storie del pescivendolo Sefian, della parrucchiera Yafa, della studentessa Heba, del pugile Andre e degli altri protagonisti sono racconti semplici, «banalità», per riprendere il termine usato da Szalat. La loro forza d’impatto (e il motivo per cui meritano di essere seguite) sta soprattutto nel guardarle due alla volta. Si scopre che, nonostante la frontiera, Gaza e Sderot sono davvero vicine. Non solo in termini di chilometri, ma di umanità.

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