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Palestinesi allo sbando

31/07/2009  |  Milano
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Palestinesi allo sbando
Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, nonché leader di Fatah, Mahmoud Abbas (detto Abu Mazen).

La Porta di Jaffa di questa settimana è dedicata a tutti quelli che con granitica sicurezza continuano a spiegarci che la mancata soluzione del conflitto israelo-palestinese è solo colpa di Israele. Ci piacerebbe sentirli spiegare anche l'ennesimo psicodramma che si sta consumando in queste ore tra la Cisgiordania e Gaza intorno al Congresso di Fatah, che in teoria dovrebbe aprirsi martedì 4 agosto a Betlemme.


La Porta di Jaffa di questa settimana è dedicata a tutti quelli che con granitica sicurezza continuano a spiegarci che la mancata soluzione del conflitto israelo-palestinese è solo colpa di Israele. Ci piacerebbe sentirli spiegare anche l’ennesimo psicodramma che si sta consumando in queste ore tra la Cisgiordania e Gaza intorno al Congresso di Fatah, che in teoria dovrebbe aprirsi martedì 4 agosto a Betlemme.

Si tratterebbe di un vero e proprio evento dal momento che si tratta solo del sesto congresso in quarantaquattro anni di storia del movimento. Tanto per capirsi: l’ultimo si tenne nel 1989 a Tunisi. Quando non solo c’era ancora Arafat, ma non c’erano ancora stati (nell’ordine) la Conferenza di Madrid (1991), la firma degli Accordi di Oslo (1993), la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, i colloqui di Camp David, la seconda intifada, tanto per citare solo i fatti più significativi. Se si considerano la crisi di Fatah culminata nella sconfitta nelle elezioni legislative del 2006 e le volte che Abu Mazen ha rinviato questa resa dei conti interna, dovremmo parlare di un passaggio cruciale per la politica palestinese.

Il problema è che a tutt’oggi non è affatto sicuro che il congresso si tenga. Perché è in corso un nuovo braccio di ferro tra Fatah e Hamas sulla possibilità effettiva di recarsi a Betlemme per i delegati del partito di Abu Mazen che risiedono a Gaza. Come spiega infatti la cronaca che rilanciamo dal quotidiano Kuwait Times, Hamas condiziona il rilascio del suo lasciapassare per i circa 400 delegati di Fatah con la liberazione di 1.000 detenuti del suo movimento che si trovano nelle carceri dell’Autorità Nazionale Palestinese. Lo scambio è ovviamente inaccettabile per il presidente Abu Mazen. Al quale però, ora, non sembra vero di potersi attaccare a questo appiglio per evitare un confronto per lui non certo facile. E così ha dichiarato che se i delegati di Gaza non potranno partecipare, il Congresso di Fatah sarà annullato. Del resto che fretta c’è di discutere pubblicamente una linea politica?

Come reagisce di fronte a tutto questo la piazza palestinese? Nel modo più logico: facendo scendere ulteriormente il suo grado di fiducia nei confronti della dirigenza di Fatah. Basta guardare il risultati del sondaggio on line proposto dal sito di Maan, che non è un’agenzia simpatizzante di Hamas: che si tenga oppure no, alla domanda se questo sesto Congresso cambierà radicalmente il partito oltre il 75 per cento dei (finora non molti) partecipanti risponde di no. È vero, si può andare avanti a votare fino al 6 agosto, ma abbiamo seri dubbi che le percentuali cambieranno.

Sul sito di Maan, però, quanto meno si vota. Perché altrove proprio non se ne parla. È quanto spiega – senza nascondere l’irritazione – il settimanale egiziano Al-Ahram Weekly, l’unico che ormai abbia la forza di stare dietro agli inconcludenti incontri del Cairo tra le fazioni palestinesi da cui dovrebbe uscire l’accordo per arrivare alle elezioni. Anche l’ultima sessione di lavori ha dato una fumata nera. Ma al di là dei singoli punti di contrasto tra le delegazioni di Fatah e Hamas, c’è un punto – spiega il settimanale egiziano – su cui entrambi sono d’accordo: bisogna rinviare le elezioni che in teoria sarebbero previste per il 25 gennaio 2010, alla scadenza del mandato del Parlamento eletto nel 2006. Entrambe le fazioni infatti hanno paura: Fatah ha il terrore (non certo infondato) di perdere stavolta anche in Cisgiordania. Ma pure Hamas non si sente affatto sicura: il suo consenso a Gaza è molto più basso di quanto si pensi. E allora meglio per tutti un bel rinvio. Tanto lo stesso mandato del presidente Abu Mazen è già scaduto da un anno e – praticamente – nessuno se n’è accorto. Aspettiamo. In fondo ci sono obiettivi più importanti che ridare fiducia alla gente che vive nei Territori o ridare condizioni di vita civili a chi sperimenta una quotidianità da incubo a Gaza. Meglio puntare sull’industria dei tunnel con l’Egitto; salvo poi dover raccontare che qualcuno ci lascia le penne perché a un certo punto crollano.

Si può pensare davvero che questa Babele non c’entri proprio nulla con la mancanza di prospettive per un processo di pace in Medio Oriente?

Clicca qui per leggere la cronaca sul braccio di ferro sul sito Kuwait Times
Clicca qui per leggere il sondaggio di Maan
Clicca qui per leggere l’articolo di Al-Ahram Weekly

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