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I papi in Terra Santa, a ritroso sui passi di Pietro

Giampiero Sandionigi
2 aprile 2009
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Prima di Benedetto XVI molti uomini di Chiesa, poi diventati papi, si sono recati in Terra Santa nel corso della loro vita. Ma fino ad oggi solo due vi hanno soggiornato dopo l'elezione al soglio pontificio: Paolo VI e Giovanni Paolo II.


Molti uomini di Chiesa, poi diventati papi, si sono recati in Terra Santa nel corso della loro vita. Ma fino ad oggi solo due vi hanno soggiornato dopo l’elezione al soglio pontificio: Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Quello di Paolo VI in Terra Santa fu un viaggio lampo. Il primo successore di san Pietro a mettere piede nella terra di Gesù Cristo e dei suoi discepoli più prossimi fece tutto in tre giorni. Lasciava Roma il 4 gennaio 1964 e la sera dell’Epifania era già di ritorno, accolto da un’immensa folla di romani che fece ala al corteo d’auto che dall’aeroporto di Fiumicino riportava il Papa in Vaticano.

Lo stesso Montini, il 4 dicembre 1963, aveva annunciato la sua intenzione di recarsi «brevissimamente e umilissimamente» in Terra Santa «in segno di preghiera, di penitenza e di rinnovazione». Fu una fatica densa di incontri e spostamenti. Il Papa volle anche padre Lino Cappiello, il Custode di Terra Santa dell’epoca, nella delegazione della Santa Sede in volo con lui tanto all’andata quanto al ritorno. Dopo l’atterraggio ad Amman, capitale della Giordania, Montini e il seguito si spostarono ovunque in auto, spesso scortati da re Hussein di Giordania che sorvolava il corteo ai comandi del suo elicottero.

La città vecchia di Gerusalemme, così come Betlemme, era allora sotto il controllo giordano (lo rimase fino al 1967). Il Papa vi giunse dopo aver fatto sosta al fiume Giordano e al convento francescano di Betania. Alla Porta di Damasco erano previsti i saluti delle autorità; la basilica del Santo Sepolcro sarebbe stata raggiunta a piedi percorrendo in meditazione la Via Dolorosa. Invece la folla in attesa da ore ruppe i cordoni e il programma saltò: Paolo VI fu sospinto dalla calca fino alla basilica. Vi celebrò la Messa, pronunciò una preghiera penitenziale e sostò in preghiera nel Sepolcro e sul Calvario. A sera una sosta alla chiesa crociata di Sant’Anna per l’incontro coi presuli cattolici di rito orientale e la preghiere dell’Ora santa al Getsemani.

Il secondo giorno, per recarsi in Galilea, Paolo VI varcò la linea del cessate il fuoco tra la Giordania e Israele (che la Santa Sede non riconosceva) incontrando il presidente israeliano, Shneiur Zalman Robshov (Shazar), a Meghiddo. Nell’indirizzo di saluto non gli si rivolse con l’appellativo di «presidente» e non citò il nome Israele. A Nazaret, il Papa celebrò la Messa in una grotta dell’Annunciazione circondata dal cantiere dell’attuale basilica, ancora in costruzione. Poi via verso i santuari del Lago di Tiberiade: Tabga, Cafarnao, il colle delle Beatitudini e il Monte Tabor. A sera rientro a Gerusalemme per la preghiera al Cenacolo e alla chiesa della Dormizione. Nel frattempo il Papa aveva avuto modo di incontrare il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora I (primo faccia a faccia tra un papa e il patriarca dai tempi dello scisma d’Oriente), il patriarca greco-ortodosso Benedictos I e quello armeno Yegheshe Derderian. La mattina dell’Epifania fu dedicata alla visita a Betlemme – con la Messa celebrata nella grotta – e all’incontro con i cattolici di rito latino, presso la sede del patriarcato a Gerusalemme. Infine il rientro ad Amman dove lo attendeva l’aereo che lo avrebbe riportato a Roma. Tra i momenti più intensi di quel viaggio restano i tre discorsi pronunciati con la raffinata oratoria montiniana nelle basiliche del Santo Sepolcro, di Nazaret e di Betlemme.

Meno incalzante il pellegrinaggio giubilare di Giovanni Paolo II «ai luoghi legati alla storia della salvezza». Dura sette giorni: dal 20 al 26 marzo 2000 ed è quasi cronaca. Molte cose sono cambiate dal primo viaggio papale in Terra Santa. Anzitutto il Papa è già molto malato e non più in grado di sostenere ritmi serrati. Sono mutati i confini geopolitici: Gerusalemme è tutta sotto il controllo israeliano, da sei anni esiste l’Autorità Nazionale Palestinese; con Arafat come presidente; Santa Sede e Israele hanno allacciato relazioni diplomatiche nel 1993; palestinesi e israeliani, pungolati dal presidente statunitense Bill Clinton, sembrano sul punto di raggiungere un accordo di pace (ma i negoziati naufragheranno a Camp David in estate e in settembre esploderà la seconda, sanguinosa, intifada).

Anche Wojtyla inizia il suo pellegrinaggio da Amman, ma poi va ad affacciarsi sulla Terra Santa dalla vetta del Monte Nebo, facendo memoria di Mosè. Giunto a Gerusalemme dice parole e compie gesti di riguardo verso il popolo ebraico e il suo Stato. Tra questi la visita al Gran Rabbinato, al memoriale dell’Olocausto (Yad Vashem) e al Muro del Pianto, nelle cui fessure lascia una preghiera scritta che chiede perdono a Dio per le sofferenze inflitte al popolo di Israele (pur non citato in modo esplicito nel testo). Non per questo trascura la causa dei palestinesi (visita il campo profughi di Deheisheh, vicino a Betlemme) o l’incontro con le guide religiose musulmane. A tutti ribadisce il bisogno di pace e giustizia.

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