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Dominus Flevit. Dove Cristo pianse

padre Rosario Pierri ofm
6 aprile 2009
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Questo santuario offre al pellegrino uno scorcio davvero unico di Gerusalemme. Accanto alla piccola chiesa gli scavi archeologici hanno portato alla luce sepolture dei primi giudeo-cristiani.


Dalla chiesa del Dominus Flevit si gode una veduta di Gerusalemme unica, non tanto per l’ampiezza, visto che, se si sale fino alla dorsale del Monte degli Ulivi, il panorama si allarga ancora di più oltre le mura della città antica.

La particolarità non sta nella posizione ma nella possibilità di vedere Gerusalemme dall’interno della chiesa attraverso la spendida «vetrata con il calice», a significare il dono che Gesù ha fatto di sé al mondo.

Nell’intenzione dell’ideatore, la vetrata alle spalle dell’altare doveva assumere un significato, evocare nel simbolo del calice sormontato dall’ostia il memoriale celebrato quotidianamente sull’altare e non solo permettere alla luce di entrare a illuminare la chiesa. A ben guardare il risultato è una composizione felice sul piano artistico e del significato storico e teologico. L’intuizione è semplice e riuscita e si presta a una doppia lettura. Gerusalemme fa da sfondo al mistero dell’Eucaristia ed è come ferma al momento dell’istituzione del sacramento del corpo e del sangue. La città santa rimane il teatro di vicende storiche centrali nella vita di Gesù e soprattutto della sua passione, morte e resurrezione ma, in chiave cristiana, è proprio l’Eucaristia a proiettare Gerusalemme anche in una dimensione diversa, come visione anticipata della nuova Gerusalemme che scende dal cielo. Chissà che durante la celebrazione eucaristica nella chiesa del Dominus Flevit non affiori nell’animo dei fedeli questa visione globale quando pronunciano le parole: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta». La chiesa del Dominus Flevit, tuttavia, non è il santuario della memoria dell’ultima cena; è il Cenacolo ad essere legato a questo ricordo.

Dominus Flevit significa «il Signore pianse», ovvero «il luogo dove il Signore pianse» su Gerusalemme. La memoria si riallaccia all’episodio raccontato da Luca. Se si vuole capire il perché della localizzazione della memoria nel sito attuale occorre fare qualche passo indietro. Gesù sta salendo da Gerico a Gerusalemme, giunto nei pressi di Betfage e Betania, invia due discepoli perché gli portino il puledro su cui farà il suo ingresso a Gerusalemme. È il cosiddetto ingresso messianico nella città santa. Ad un tratto si legge: «Era ormai vicino alla discesa del Monte degli Ulivi» (19,37). Sono note le scene di acclamazione dei discepoli nei suoi confronti. Sono loro ad acclamarlo non altri. Ciò spiega l’amarezza del suo cuore che prende forma nelle parole del lamento su Gerusalemme. La memoria del «pianto» associata al luogo è tardiva e  si fa risalire al periodo crociato.

Sul luogo dove oggi sorge la chiesa progettata dall’architetto Antonio Barluzzi nel 1955, in epoca bizantina (quinto secolo) fu costruita una chiesa. In base all’interpretazione di un’iscrizione frammentaria si discute se fosse dedicata alla profetessa An[na] (Lc 2,36) o, più probabile, fosse un monastero di monaci che prestavano servizio all’An[astasis]. Di particolare interesse sono i mosaici tra cui spicca l’iscrizione musiva in greco «Simeone, Amico di Cristo, ha fabbricato e decorato questo oratorio (euktêrion) e l’ha offerto a Cristo Nostro Signore per l’espiazione dei propri peccati e per il riposo dei propri fratelli, l’igumeno Giorgio e l’Amico di Cristo Domezio» (B. Bagatti).

Presso la rovina della piccola chiesa bizantina fu costruita in epoca araba una moschea conosciuta come moschea del vittorioso (El Mansouriyeh), che di recente  è stata ricostruita in una strada meno nota del monte. L’attuale superficie del Dominus Flevit fu acquisita dalla Custodia di Terra Santa nel 1940.

Il Dominus Flevit si trova a metà costa del Monte degli Ulivi (avendo come punto di riferimento il Getsemani e non il fondo della valle del Cedron) in un’area notoriamente destinata fin dall’antichità alla sepoltura. Non destò meraviglia, quindi, che negli scavi condotti da padre Bellarmino Bagatti dello Studium Biblicum Franciscanum dal 1953 al 1955 venissero alla luce, insieme ai resti bizantini, una necropoli adoperata dal 136 a.C. al 300 d.C. e una tomba del periodo del Bronzo.

In quella ventina di camere funerarie che formavano la necropoli furono trovati numerosi ossuari e alcuni sarcofagi con motivi floreali e riproduzioni di viti. Anche se i ritrovamenti andarono oltre ogni più rosea aspettativa, gli scavi del Dominus Flevit rimarranno nella storia dell’archeologia della Terra Santa e del cristianesimo per i simboli e i nomi incisi o tracciati sugli ossuari.

Man mano che gli scavatori dissotterravano gli ossuari affiorava con loro la testimonianza scritta, incisa su pietra per le generazioni future, della presenza a Gerusalemme di cristiani della seconda o terza generazione. Le loro spoglie furono seppellite in quel luogo del Monte degli Ulivi che, agli occhi dei credenti di allora, e ancora oggi per gli ebrei ortodossi, era il versante orientale della valle di Giosafat (Cedron), dove, secondo una lettura tendente a localizzare due vaticini del profeta Gioele (4,2.12) avverrà il giudizio finale. È sufficiente ricordare il primo: «Riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Giòsafat, e là verrò a giudizio con loro per il mio popolo Israele, mia eredità, che essi hanno disperso fra le genti dividendosi poi la mia terra». Giosafat significa «Dio ha giudicato» ma, probabilmente, il profeta parlava in termini simbolici di luogo di giudizio e non doveva riferirsi a un luogo geografico.

I simboli furono studiati da Bellarmino Bagatti e Jòzef Milik. Incisi o tracciati con carbone, sulle pareti degli ossuari comparivano croci, la lettera Tau, monogrammi costantiniani e ben quarantatre iscrizioni in ebraico, aramaico e greco ed ancora nomi ricorrenti nel Nuovo Testamento come Maria, Marta, Filone il cireneo, Matteo, Giuseppe e Gesù. Bagatti e Milik di fronte a tali evidenze conclusero che la necropoli scoperta era un luogo di sepoltura di giudeo cristiani.

La visita al Dominus Flevit si arricchisce, quindi, di una testimonianza storica di grande importanza per i cristiani. Quegli ossuari, con i loro simboli e i loro nomi, ci rimandano all’anello ininterrotto che collega la fede dei discepoli di Gesù a quella dei cristiani della seconda generazione vissuti in Terra Santa e ai credenti dei secoli successivi. In qualche maniera un’espressione tangibile di tale continuità è la tradizione di visitare, a partire dalla seconda settimana di Quaresima, alcuni santuari associati alla memoria della passione di Gesù nell’area di Gerusalemme. La peregrinazione, guidata dai francescani, si svolge ogni mercoledì e vi partecipano cristiani locali, religiosi e pellegrini. La prima tappa di questo itinerario è proprio il Dominus Flevit. Le letture della messa che vi si celebra per l’occasione pongono al centro il brano del pianto di Gesù su Gerusalemme, ed è un vero dono ascoltare quelle parole in quella piccola chiesa guardando Gerusalemme attraverso la «vetrata con il calice».

La città santa appare come trasfigurata e il suo rifiuto di riconoscere Gesù come Messia trova un’eco premonitore nell’ascolto delle accorate parole del profeta Geremia: «Date gloria al Signore vostro Dio, prima che venga l’oscurità e prima che inciampino i vostri piedi sui monti, al cadere della notte» (13,16).

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