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Sono cinque (Gerusalemme, Betlemme, Nazaret, Tiberiade e Monte Tabor) le strutture per pellegrini della Custodia. Non alberghi ma luoghi d'accoglienza.

Case aperte a tutti

padre Rosario Pierri ofm
5 marzo 2009
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«Perché si chiamano Case Nove?», ci chiedono i pellegrini. Se non si conosce la storia di questi particolari «alberghi» gestiti dai francescani di Terra Santa, non è facile dare una risposta.

La loro nascita e lo sviluppo successivo sono legati a doppio filo con la storia del pellegrinaggio cristiano in terra di Palestina. L’ospitalità è un costume «sacro» per tutte le antiche culture; e ospitalità, per un cristiano, è un modo di dire «carità» che, nella sua espressione ecclesiale, ha origine nella diaconia evangelica. Sono gli Atti degli Apostoli a raccontare l’istituzione di questo ministero a favore dei bisognosi (6,1-6). Fu questa l’idea ispiratrice delle diaconie annesse alle chiese e agli ospizi dove venivano accolti i pellegrini debilitati dai lunghi viaggi.

Nei secoli precedenti alle crociate i pellegrini erano alloggiati in locali di monasteri o di episcòpi, nelle cosiddette «foresterie».

Oggi le foresterie per i pellegrini della Custodia sono edifici separati dai conventi. Da quel che apprendiamo dalle cronache, i francescani furono indotti a compiere questa scelta edilizia per due motivi. Verso la metà del Diciannovesimo secolo a Gerusalemme i pellegrini potevano trovare alloggio anche presso altre foresterie e, quindi, occorreva conformarsi alla nuova situazione. La ragione principale di questo orientamento, tuttavia, furono le continue angherie subite dai frati da parte dei musulmani i quali, convinti che i pellegrini fossero persone facoltose, assalivano i conventi per estorcere denaro ai religiosi. Sorse così nel 1866 la «Casa Nuova» o, in un misto di latino e italiano, «Casa Nova», nome esteso alle altre foresterie francescane nel 1910.

Lo spirito che animò la fondazione di queste Case fin dall’inizio fu volto all’apertura verso tutti. Nelle camere delle foresterie, insieme ai cattolici, venivano accolti cristiani di ogni confessione e nazione. Matilde Serao nel suo libro Un viaggio nel paese di Gesù scrive: «Casa-Nova (parla della sede di Gerusalemme, ndr) col suo frate ospitaliero, padre Filippo da Castelmadama, un francescano pieno d’ingegno e di cuore… accoglie chiunque si diriga ad esso, per essere ospitato. Donna o uomo, povero o ricco, cattolico romano, luterano, protestante, copto, armeno, greco, nel nome di Gesù, entra e ha tetto e vitto ogni essere umano». Rispetto al passato sono cambiate tante cose in Terra Santa. Ai nostri giorni i pellegrini beneficiano, in Israele e in Palestina, di servizi che hanno raggiunto talvolta i livelli dei Paesi più sviluppati.

Oggi la Custodia di Terra Santa gestisce cinque «Case Nove» a Gerusalemme, Betlemme, Nazaret, Tiberiade e sul Monte Tabor, dove i pellegrini pagano una quota giornaliera: non vi sono più le condizioni per offrire l’ospitalità gratuita.

Nell’insieme delle attività della Custodia le «Case Nove» assolvono in concreto a un duplice servizio. L’accoglienza dei pellegrini è una delle missioni dei frati in Terra Santa; possono cambiare le modalità di praticarla, ma non può cessare, perché i francescani, in caso di necessità e per quel che possono, devono assicurare l’ospitalità ai pellegrini. Chi non conosce, poi, l’instabilità politica di questa terra? Durante una crisi di qualche anno addietro protrattasi per diversi mesi, senza parlare delle lunghe parentesi delle intifade, quando le agenzie hanno di­ sdetto decine e decine di pellegrinaggi, tanti albergatori si son visti costretti a licenziare buona parte dei dipendenti, un amaro destino toccato a nessuno di quelli delle «Case Nove».

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