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Svolta a destra. O no?

12/02/2009  |  Milano
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Svolta a destra. O no?
Elettore alle urne in Israele.

Ma la società israeliana sta andando davvero così a destra? Indipendentemente dal fatto che a guidare il prossimo governo sia Tzipi Livni o Benjamin Netanyahu, il tratto comune di tutte le analisi sembra l'idea che il voto del 10 febbraio 2009 ha visto l'elettorato israeliano spostarsi con decisione verso la parte ostile a qualsiasi compromesso con i palestinesi. Eppure non tutti i conti tornano. E un articolo di Yedioth Ahronoth lo fa notare molto bene.


Ma la società israeliana sta andando davvero così a destra? Indipendentemente dal fatto che a guidare il prossimo governo sia Tzipi Livni o Benjamin Netanyahu, il tratto comune di tutte le analisi sembra l’idea che il voto del 10 febbraio 2009 ha visto l’elettorato israeliano spostarsi con decisione verso la parte ostile a qualsiasi compromesso con i palestinesi. Eppure non tutti i conti tornano. E un articolo di Yedioth Ahronoth lo fa notare molto bene.

Partiamo dai numeri. La valanga a destra in realtà è stata molto più contenuta di quanto ci si potesse aspettare. Nonostante il bilancio sostanzialmente fallimentare del governo Olmert, nonostante la guerra a Gaza non abbia affatto risolto il problema dei lanci dei missili sul Sud di Israele, nonostante le tensioni crescenti con gli arabi israeliani, il blocco delle destre non sembra andare oltre i 65 seggi alla Knesset. Il che vuole dire 4 seggi in meno di quelli presi alle elezioni del 2003 (quando in corsa c’era già un partito centrista come Shinui, capace di accaparrarsi 15 seggi) e – addirittura – 1 in meno delle elezioni del 1999, quando a vincere furono i laburisti di Ehud Barak. La destra ha recuperato rispetto alla sua «catastrofe» del 2006. Ma da qui a dire che ha trionfato ce ne corre.

La verità – come spiega bene Uri Misgav nell’articolo che rilanciamo – è che, piuttosto, ha perso la sinistra israeliana, incapace oggi di dare punti di riferimento credibili. C’è un dato interessante: alla galassia dei partitini ambientalisti finiti sotto la soglia di sbarramento in queste elezioni sono andati 100 mila voti. Cioè l’equivalente di tre seggi alla Knesset. Un boomerang si è rivelato il cosiddetto partito degli scrittori: ha fatto perdere anziché guadagnare voti a Meretz (del resto perché uno dovrebbe votare Amos Oz quando Amos Oz non si «sporca le mani» candidandosi davvero?). Quanto a Barak ha trasformato il Labour in una copia sbiadita di Kadima, ma senza avere il carisma della Livni. È l’eterno problema delle colombe di Israele, che appartengono a una specie molto particolare: anziché portare davvero ramoscelli d’ulivo preferiscono passare il loro tempo a beccarsi. Non è vero che la società israeliana non è più disposta a credere in una pace possibile. Però ha bisogno di testimoni credibili. Capaci anche di scelte coraggiose. Una per tutte: uno dei temi che ha dominato questa campagna elettorale è stato il ruolo degli arabi israeliani nella società. È su questa tensione crescente che Lieberman ha giocato tutta la sua campagna. Possibile che a sinistra non ci sia nessuno capace di ragionare su un modello di società in cui identità ebraica e rispetto reale delle minoranze non siano in contraddizione? Non potrebbe essere la strada per sdoganare davvero il voto degli arabi e non lasciarlo isolato in tre partitini che contano sì 10 seggi alla Knesset ma restano come dei paria con cui non ci si può alleare?

Un’ultima osservazione su Lieberman. Alla vigilia delle elezioni Haaretz ha pubblicato un articolo molto interessante di Shlomo Avineri, che è un docente di Scienza della politica alla Hebrew University. Avineri ha ricordato come già Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, avesse parlato di un fenomeno molto simile a Yisrael Beitenu. Nel suo più celebre libro Altneuland – un romanzo utopistico scritto nel 1902 in cui immaginava la vita nello Stato degli ebrei – scriveva che nel 1923 sarebbe sorto un partito razzista ebreo con l’intenzione di revocare la cittadinanza agli arabi. Herzl lo aveva chiamato il partito Geyer («avvoltoi») e aveva modellato la figura del suo leader «riadattando» gli stereotipi dell’antisemita viennese Karl Lueger. In Altneuland alla fine Geyer perde. Non è che, forse, proprio il fatto di aver smarrito la carica ideale del sionismo delle origini è il problema della sinistra israeliana di oggi?

Clicca qui per leggere l’articolo di Yedioth Ahronoth

Clicca qui per leggere l’articolo di Shlomo Avineri su Haaretz

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