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Israele anticristiano?

26/05/2008  |  Gerusalemme
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Un lettore, cattolico, che da decenni vive in Israele invia alla nostra redazione questa lettera (pubblicata anche sul numero di maggio-giugno del bimestrale Terrasanta), in cui denuncia poca sensibilità verso i cristiani in terra di Israele. Talvolta, osserva il lettore, si può parlare di aperta ostilità: «Chi non è ebreo non è cittadino a pieno diritto quando si tratta di cercare un lavoro o una posizione nella società civile». È forse il caso di occuparci meno di dialogo e più di tolleranza e sensibilità verso le minoranze?


Stimato direttore,
sono un cittadino italiano (cattolico) residente in Israele da 25 anni. Ho avuto la fortuna di studiare la lingua ebraica all’Università di Gerusalemme e ora insegno ebraico biblico sempre a Gerusalemme, cercando di trasmettere ai miei discepoli, oltre all’amore per la grammatica, anche l’amore per il testo sacro scritto in ebraico e per il popolo che fu il primo destinatario del messaggio divino.

Nel mese di gennaio 2008, forse anche sotto l’impulso delle celebrazioni legate alla Giornata della memoria, ho avuto modo di vedere che in Italia molte proposte di studio/ricerca/dialogo fra cristiani ed ebrei. Mi fa piacere e dispiacere allo stesso tempo vedere tutte queste iniziative. Mi fa piacere vedere che nel nostro Paese ci sia una buona sensibilità verso la questione. Mi dispiace che si parli sempre a senso unico. Mi spiego.

Qui in Israele la situazione dei cristiani è ben diversa da quella italiana ed europea. Non c’è nessuna sensibilità da parte ebraica circa il dialogo con i cristiani in terra d’Israele; non esiste un punto di riferimento civile e/o religioso con cui si possa dialogare. A Gerusalemme succede non di rado che ebrei religiosi sputino addosso a cristiani. A me è successo più di una volta. Uno di questi sedicenti ebrei religiosi, colto in flagrante e fermato dalla polizia, si difendeva dicendo: «Ma è solo un cristiano!».

In Europa e in Occidente si continuano a organizzare conferenze sull’antisemitismo dei cristiani, mentre qui gli ebrei, quando ne hanno la possibilità, osteggiano i cristiani… Che intanto continuano a fuggire da Israele senza che nessuno se ne voglia assumere la responsabilità.

Nessuna condanna, per esempio, da parte dei rabbini. Certo, i cristiani sono in gran parte arabi, «gli altri». Ma si tratta comunque di un silenzio colpevole!

Non sarebbe il caso di reimpostare la questione del dialogo e delle sue difficoltà chiamandola in altro modo? Ad esempio l’intolleranza o in­ sensibilità di una mag­gioranza (cristiani in Europa ed ebrei in Israele) verso una minoranza (ebrei in Europa e cristiani in Israele) che tende ad emergere?

Un’altra cosa a mio avviso è grave: l’appartenenza a Israele (religione e Stato) è segnalata sul passaporto! Chi non è ebreo non è cittadino a pieno diritto quando si tratta di cercare un lavoro o una posizione nella società civile… I cristiani sono confinati nei loro quartieri e gli israeliani (di religione ebraica e passaporto israeliano) non si mescolano ad essi. Immaginiamo se, per essere italiani, si dovesse essere cristiani, o peggio cattolici. I non cattolici cosa direbbero? Non urlerebbero (giustamente) tutti i difensori dei diritti umani? Io sono qui da 25 anni, ho fatto i miei studi all’Università ebraica (dove mi sono trovato benissimo), ma non sono cittadino israeliano solo perché sono cristiano.

Per questa ragione trovo a dir poco «aggressive» le affermazioni di «dialoganti ebrei italiani» (anche rabbini) che continuano a sostenere che l’Occidente è antisemita. L’Occidente non è più antisemita oggi di quanto l’attuale Israele non sia anticristiano.

Massimo Pazzini
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