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Tutti gli occhi su Obama

29/01/2008  |  Milano
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Fiato sospeso in queste ore in Medio Oriente in attesa della diffusione del rapporto Winograd, frutto del lavoro della commissione di inchiesta israeliana sulla guerra in Libano dell'estate 2006. Un verdetto dal quale dipende il futuro politico del primo ministro Ehud Olmert. Ma a giudicare dal barometro dei giornali, più che a possibili elezioni anticipate in Israele l'attenzione è tutta concentrata su altre consultazioni: spopolano infatti i commenti sulle primarie degli Stati Uniti.


Fiato sospeso in queste ore in Medio Oriente in attesa della diffusione del rapporto Winograd, frutto del lavoro della commissione di inchiesta israeliana sulla guerra in Libano dell’estate 2006. Un verdetto dal quale dipende il futuro politico di Ehud Olmert. Ma a giudicare dal barometro dei giornali, più che a possibili elezioni anticipate in Israele l’attenzione è tutta concentrata su altre consultazioni: spopolano infatti i commenti sulle primarie degli Stati Uniti. Anche in Israele come nel mondo arabo si affilano le armi in vista del «super martedì», la tornata probabilmente decisiva in programma il 5 febbraio.

In Israele è soprattutto il fattore Obama al centro delle discussioni. L’uomo nuovo dei Democratici è infatti al centro di uno scontro durissimo all’interno della comunità ebraica americana. Accusandolo di inesperienza in politica estera, contro il senatore dell’Illinois si è schierato l’ex ambasciatore di Israele negli Stati Uniti Danny Ayalon. Inoltre elettori ebrei hanno raccontato di aver ricevuto e-mail non proprio tenere nei suoi confronti. Con riferimenti anche decisamente spiacevoli sulle sue origini musulmane. Così Obama è passato al contrattacco. E oggi su Haaretz snocciola in un’intervista a Shmuel Rosner, il corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano israeliano, la più classica delle posizioni su Israele per un candidato presidente degli Stati Uniti: Israele come Stato ebraico, due Stati ma solo quando sarà garantita la sicurezza di Israele, nessuna trattativa con Hamas, non una parola sul futuro di Gerusalemme. Contemporaneamente il Jerusalem Post oggi ospita un articolo di Mel Levine, già membro del Congresso e figura autorevole dell’Aipac (l’American Israel Public Affairs Committee) dall’emblematico titolo «Perché sostengo Obama». E sul sito oggi risulta l’articolo più cliccato dai lettori del Jerusalem Post.

Anche sui media arabi c’è ovviamente grande interesse per le elezioni americane. Già qualche settimana fa Arab News aveva registrato l’interesse con il quale molti musulmani guardano ai successi di Barak Obama. The Jordan Times, invece, sottolineava in questi giorni la corsa di tutti i candidati ad apparire «uno più cristiano dell’altro», notando come invece a nessuno interessino i musulmani americani, che pure sono cinque milioni di persone. L’articolo fornisce anche dei dati interessanti: secondo un sondaggio del 2006 solo il 42 per cento dei musulmani americani dichiara di riconoscersi nel Partito Democratico (partito in cui milita Keith Ellison, il primo parlamentare degli Stati Uniti ad aver prestato giuramento sul Corano). E addirittura – nel 2000 – la maggioranza votò per Bush. «Negli Stati Uniti tutti i candidati parlano dei musulmani, ma pochi parlano con i musulmani», osserva l’articolo. Nel Medio Oriente di oggi sono parole che pesano.

Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz

Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post

Clicca qui per leggere l’articolo di The Jordan Times

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