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I giovani neonazisti. Israele si guarda dentro

13/09/2007  |  Milano
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I giovani neonazisti. Israele si guarda dentro
Uno dei giovani neonazisti israeliani al momento dell'arresto.

Ora che lo choc ha lasciato il posto all'indignazione, ora che il becero rischia di prevalere sulla riflessione pacata, stride ancora di più quell'ossimoro, «israeliani e nazisti», che la scorsa settimana ha fatto irruzione nelle notizie di cronaca. Non è certo la prima volta che si verificano in Israele episodi di antisemitismo. Eppure solo in questo caso, solo davanti all'efferatezza di questa cellula di giovani immigrati russi imbevuti di ideologia neonazista arrestati a Tel Aviv, Israele è stato costretto a guardarsi allo specchio. Scoprendosi fragile, certo, insicuro, certo. Ma anche esclusivista, financo intollerante.


Ora che lo choc ha lasciato il posto all’indignazione, ora che il becero rischia di prevalere sulla riflessione pacata, stride ancora di più quell’ossimoro, «israeliani e nazisti», che la scorsa settimana ha fatto irruzione nelle notizie di cronaca. Non è certo la prima volta che si verificano in Israele episodi di antisemitismo. Eppure solo in questo caso, solo davanti all’efferatezza di questa cellula di giovani immigrati russi imbevuti di ideologia neonazista e arrestati il 9 settembre a Tel Aviv, Israele è stato costretto a guardarsi allo specchio. Scoprendosi fragile, certo, insicuro, certo. Ma anche esclusivista, financo intollerante.

È la reazione viscerale dell’uomo della strada a far capire che l’argomento è di quelli «decisivi», impossibili da ignorare. Il problema degli home grown nazis, dei «nazisti fatti in casa», ripropone a Israele, in maniera ancor più devastante, la questione che affligge l’Occidente con gli home grown terrorists, gli immigrati islamici di seconda generazione autori, ad esempio, degli attacchi del 2005 a Londra. E le riposte al fenomeno, quelle «di pancia», non sembrano tanto difformi. «Anni fa ho visto un turista a Tel Aviv indossare una giacca con una svastica – racconta un israeliano su un blog -. Ora sono pentito di non avergli spaccato le gambe». «Non c’è niente di più scandaloso di un nazista in Israele – sottolinea un altro -. Bisognerebbe deportare (il verbo è proprio quello storicamente tristemente noto – ndr) le loro intere famiglie dopo aver inflitto il massimo della pena a questi giovani antisemiti».

«Questi neonazisti – interviene un’altra persona ancora – sono soltanto uno dei sintomi più visibili di un problema più vasto che sta corrodendo il nostro Paese. Si è concesso troppo agli stranieri, permettendo loro di sfondare le regole sociali esistenti. Vanno assolutamente rinforzate le leggi che difendono la cultura "indigena" di Israele».

Non sono certo reazioni isolate. Sembra che in pochi abbiano voglia di analizzare a mente fredda ciò che è successo. E d’altronde quei calci nelle reni del filmato «Pattuglia 36», quel «bang bang» ripetuto ossessivamente dal führer 19enne Eli Boanitov e dai suoi sette compari hanno scatenato i boatos più truci. Il premier Ehud Olmert ha parlato di un vero e proprio «fallimento educativo» dei giovani immigrati. Proprio l’aspetto educativo sarà ora quello maggiormente al centro dell’azione dell’esecutivo. «Non terremo questa vicenda sotto un tappeto», ha promesso il ministro dell’Educazione Yuli Tamir, come se fosse possibile, poi, far finta di niente dopo quelle immagini, quell’onda d’urto. Dopo quei titoloni sui giornali, i dibattiti televisivi, le riunioni straordinarie alla Knesset.

In ogni scuola, in ogni classe, dice il governo, verranno organizzati dibattiti sull’argomento con l’intervento di esperti. Eppure, si interroga Linda, impiegata in un ufficio pubblico e madre di due bambine, «a cosa servono i dibattiti se prima non ci si guarda dentro e a fondo?». La verità, dice Petah, è che «nessuno ha approfondito i motivi per i quali questi ragazzi hanno fatto quel che hanno fatto. Come tutti sappiamo: non c’è fumo senza fuoco». È lei stessa a ricordare come uno dei componenti della cellula nazista di Tel Aviv fosse stato continuamente deriso e umiliato per anni a scuola, sia dai suoi compagni che dalle insegnanti, perché di origine russa. Senza che a nulla, peraltro, fossero valse le proteste della madre del ragazzo.

È John S. a sottolineare come sia ben «strano» che i media e lo stesso governo stiano trattando quanto accaduto quasi come un caso unico, quando invece episodi di neonazismo in Israele sono presenti da anni. Lo stesso John ricorda, in particolare, quel gruppo che, indossata l’uniforme dell’esercito israeliano e fatto il saluto nazista, incitava alla violenza contro gli arabi. «Il problema è che le autorità hanno chiuso un occhio per troppo tempo su questo fenomeno, il che ha consentito a questi gruppi di espandersi». «Non pensavo che questo fenomeno interessasse i media israeliani», ironizza ora Zalman Gilichinsky, che per 17 anni ha studiato la questione neonazista fondando il Centro israeliano di assistenza e informazioni per le vittime dell’antisemitismo.

Gli episodi degli anni scorsi non erano mai riusciti ad accendere gli animi della società israeliana. La stessa Knesset aveva già discusso in passato il fenomeno del neonazismo in Israele, senza prendere, però, decisioni operative. Dicono che a far la differenza, questa volta, sia stato quel video, che ha inchiodato con il suo occhio-verità il Paese alla realtà. Israele, insomma, è stato obbligato, questa volta, a fissare lo sguardo sul proprio cortile di casa. Quale sarà il risultato di una introspezione che va a riaprire ferite storiche ancora roventi è, attualmente, difficile da dire.

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