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L’ultima dimora di Erode

13/08/2007  |  Milano
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L’ultima dimora di Erode

La scoperta, vera o presunta, della tomba di Erode presso la fortezza dell'Herodion ha avuto un'eco mondiale, anche se le posizioni degli studiosi sono, come al solito, divergenti. I più critici ritengono la scoperta dell'archeologo israeliano Ehud Netzer, presentata il 7 maggio presso l'Università ebraica di Gerusalemme, totalmente inattendibile: i frammenti del sarcofago sono pochi, non ci sono iscrizioni né tracce di resti di tessuti di corpo umano. Altri ritengono invece il ritrovamento plausibile. Sul ritrovamento dell'ultima dimora di Erode, la rivista Terrasanta di luglio-agosto pubblica un circostanziato articolo dell'archeologo francescano padre Eugenio Alliata. Ve lo riproponiamo.


La scoperta, vera o presunta, della tomba di Erode presso la fortezza dell’Herodion ha avuto un’eco mondiale, anche se le posizioni degli studiosi sono, come al solito, divergenti. I più critici ritengono la scoperta dell’archeologo israeliano Ehud Netzer, presentata il 7 maggio presso la Hebrew University di Gerusalemme, totalmente inattendibile: i frammenti del sarcofago sono pochi, non ci sono iscrizioni né tracce di resti di tessuti di corpo umano. Altri ritengono invece il ritrovamento plausibile. I punti di forza sono la qualità pregiata e la raffinata lavorazione della pietra dei frammenti del sarcofago e, indubbiamente, la località del ritrovamento. Le fonti antiche parlano infatti di una «sepoltura solennissima» proprio nei pressi della fortezza erodiana. Sul ritrovamento dell’ultima dimora di Erode, la rivista Terrasanta di luglio-agosto pubblica un circostanziato articolo dell’archeologo francescano padre Eugenio Alliata, nel quale si dà conto anche della lunga stagione di scavi e di studi che gli studiosi dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme hanno condotto nella fortezza dell’Herodion. Scavi che hanno messo le premesse per i ritrovamenti recenti. Eccovi l’articolo.

* * *

Per la sua posizione elevata sul circondario e per la forma unica di cono troncato lo si distingue bene da lontano, sia che percorriamo la strada sinuosa che porta a Betlemme, sia che ci troviamo sul monte degli Ulivi o in qualcuna delle parti più elevate di Gerusalemme. Con l’aria limpida è visibile anche dalla parte opposta della valle del Giordano, al di là del Mar Morto, per esempio da Macheronte o dal Monte Nebo.

Parliamo dell’Herodion, il luogo che prese il suo nome da Erode, il re di Giudea che domina con la sua crudeltà e potenza la seconda parte del Vangelo dell’Infanzia di Gesù (Mt 2). Questo sito archeologico è balzato alle cronache negli scorsi mesi per la notizia del ritrovamento, da parte dell’archeologo israeliano Ehud Netzer, di un sarcofago che potrebbe essere la tomba di Erode. Un evento che ha avuto eco mondiale.

Ma perché il sovrano volle edificare l’Herodion? Secondo lo storico ebreo del I secolo Giuseppe Flavio, fu il re medesimo che volle chiamarlo con questo nome. Ad altri luoghi e monumenti, da lui edificati, aveva legato piuttosto il ricordo di parenti e amici: il nome della madre alla fortezza di Kypros, vicina a Gerico, quello della moglie Mariamne, del fratello Fasaele e dell’amico Ippico a tre torri del suo palazzo in Gerusalemme, e quelli dei romani Cesare e Marco Antonio rispettivamente ad una torre gerosolimitana (l’Antonia) e ad una città sul Mare Mediterraneo (Cesarea)… È sempre Giuseppe Flavio a parlarci delle ragioni della scelta del posto (memoria di una vittoria), del genere di edificio costruito (reggia e fortezza insieme) e della destinazione finale a luogo di sepoltura, voluta dallo stesso re e praticata con grande pompa dal figlio Archelao, succedutogli sul trono (La guerra giudaica I,265; 419-421; 670-673 – Antichità giudaiche XV,323-325; XVII,196-199).

Nonostante queste grandiose premesse il luogo non pare aver più avuto  parte alcuna nelle successive vicende storiche del paese, se si eccettua una breve menzione (dello stesso Flavio) a proposito della guerra del 70 contro Roma (La guerra giudaica VII,164-164). Gli abitanti dei dintorni, fatti cristiani, edificarono chiese coi ruderi dei palazzi, un piccolo monastero si insediò nella fortezza in alto, un lebbrosario è menzionato nelle fonti sotto il nome greco di Fordesia, toponimo perpetuatosi poi nella lingua araba (i beduini lo chiamano Gebel Fureidis, che significa «Il monte del piccolo giardino o paradiso»). Un pellegrino medioevale (Felix Fabri, 1480-1483), prese le rovine della fortezza per i resti di un castello crociato dal momento che lo chiama Mons Francorum, cioè «Monte dei Franchi».

Furono gli esploratori dell’Ottocento a riproporne l’identificazione corretta con il palazzo di Erode, ma nessuno aveva ancora messo mano allo scavo fino all’arrivo di padre Virgilio Corbo. L’archeologo francescano, resosi celebre soprattutto con lo scavo di Cafarnao, aveva già dedicato diversi anni di studio e di lavoro sul campo, la sua tesi di laurea e una voluminosa pubblicazione ai monasteri del deserto di Giuda (Gli scavi di Kh. Siyar el-Ghanam [Campo dei Pastori] e i monasteri dei dintorni, Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum n.11 = Sbf Collectio Maior 11, Tipografia dei PP. Francescani, Gerusalemme 1955).

Reperiti i fondi necessari attraverso il Consolato generale d’Italia a Gerusalemme e la Direzione generale relazioni culturali del ministero degli Affari esteri di Roma, e ottenuto il necessario permesso da parte del Dipartimento delle Antichità del Regno Hashemita di Giordania, padre Corbo si mise all’opera. La collaborazione dei beduini locali Taamri come lavoratori fu preziosa, anche se non priva di difficoltà. L’aspettativa dei lavoratori, che si scambiavano ogni due settimane, di trovare tesori nelle rovine creò infiniti problemi al direttore dello scavo, per il quale il maggiore e sostanziale tesoro consisteva unicamente nella conoscenza storica che veniva giorno per giorno, faticosamente, alla luce. Si succedettero quattro campagne di scavo, tra il 1962 e il 1967. La campagna più lunga e impegnativa fu l’ultima, di ben sei mesi, durante la quale l’archeologo, che aveva già messo in luce le terme e il peristilio centrale con i ridotti militari delle guerre giudaiche, passò a esplorare il torrione di est e il triclinio erodiano, trasformato in sinagoga durante la rivolta.

Nella pubblicazione dei risultati padre Corbo si avvalse della collaborazione di altri archeologi francescani: il numismatico Augustus Spijkerman, olandese, e gli italiani Emanuele Testa e Stanislao Loffreda. L’intera serie consiste in quattro volumi pubblicati dalla Franciscan Printing Press di Gerusalemme e rispettivamente dedicati agli edifici (1989), alle monete (1972), alle iscrizioni (1972) e alla ceramica (1996) con il titolo: Herodion I-IV, SBF Collectio Maior nn. 20a-c e 39).

In seguito alla Guerra dei sei giorni (giugno 1967) anche l’Herodion passò sotto l’amministrazione militare israeliana, situazione che perdura fino ad oggi. Nella prefazione del suo libro sugli edifici (Herodion I, p. 30), padre Corbo si lamenta di un atteggiamento piuttosto negativo nei suoi riguardi da parte di coloro che presero nelle loro mani il frutto del suo lavoro (e soldi italiani), fino a costringerlo a pagare il «salatoccio» biglietto d’ingresso ogni volta che vi si recava in vista della pubblicazione finale dello scavo. Ciò non impedì agli archeologi ebrei di contribuire alla miscellanea di studi in onore del francescano (Christian Archaeology in the Holy Land, New Discovery, Sbf Collectio Maior 36, Jerusalem 1990). Il professor Netzer vi pubblicò le chiese bizantine da lui scoperte ai piedi della montagna (pp. 165-176).

Proprio al Netzer si deve anche l’ultima scoperta che ha suscitato  scalpore di recente: il ritrovamento della tomba di Erode, o meglio del sito della sua tomba, che sembra essere stato radicamente devastato dai nemici del re non molto dopo la sua stessa sepoltura. Riportiamo alcune frasi significative dalla comunicazione fatta dall’archeologo all’Università ebraica di Gerusalemme il 7 maggio scorso: «Il mausoleo fu totalmente smantellato già nell’antichità. Al suo posto oggi rimane solo parte del podio, ben costruito con grandi pietre lavorate in una forma che non era ancora stata trovata all’Herodion. Tra i molti elementi architettonici di alta qualità di esecuzione sparsi tra le rovine c’è un gruppo di urne (sul tipo di quelle cinerarie) simili a quelle che si rinvengono nei monumenti nabatei di Petra. Il sarcofago in pietra rosata, con coperchio triangolare e decorato con rosette (originariamente della lunghezza di circa due metri e mezzo) è stato trovato spezzato in centinaia di frammenti. Si pensa naturalmente che questo fosse il sarcofago del re Erode. Non sono state trovate finora iscrizioni che provino con certezza l’identità del personaggio ivi sepolto, ma si spera che queste possano venire alla luce con la continuazione degli scavi». (e.a.)

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