Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Jean-Mohammed, storia di un’anima

Paolo Branca
11 luglio 2007
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Fino a non molto tempo fa, dalle nostre parti, quando si parlava di un «convertito» ci si riferiva a un agnostico o a un libertino che si era ravveduto. I passaggi da una fede all’altra erano rari e visti come scandalose abiure operate da chi veniva etichettato sbrigativamente come un «rinnegato».

Oggi siamo più abituati ad assistere a tale fenomeno, soprattutto si fa un gran parlare delle conversioni all’islam da parte di occidentali, precedentemente non credenti o cristiani più o meno convinti e praticanti, adombrando l’oscura minaccia di un’islamizzazione di massa che incomberebbe sulle nostre società. Personalmente ritengo questo allarme decisamente sproporzionato rispetto alle dimensioni reali del fenomeno, anche se ritengo che esso vada seguito con attenzione e adeguatamente interpretato nelle sue motivazioni di fondo. Molto meno pubblicizzati sono i passaggi di musulmani ad altre fedi, e in particolare al cristianesimo, soprattutto per motivi di delicatezza e di discrezione che sono ben comprensibili da parte di chiunque conosca il tipo di pressione sociale alla quale gli interessati potrebbero andare incontro altrimenti…

Tenendo conto di questo quadro d’insieme, un libro come quello curato da padre Maurice Borrmans, Jean-Mohammed Abd-el-Jalil. Testimone del Corano e del Vangelo, Jaka Book, Milano 2007) marocchino che abbracciò la nostra fede nel 1928 per diventare l’anno seguente francescano e quindi sacerdote nel 1935, si pone in una prospettiva ben diversa rispetto al trionfalismo o all’allarmismo che solitamente predominano tra i commentatori di simili avvenimenti. D’altra parte, il percorso silenzioso e profondo di padre Jean-Mohammed, che non amava farsi troppa pubblicità da un lato, né tendeva a utilizzare la sua nuova appartenenza religiosa per screditare la sua fede originaria dall’altro, imponeva un approccio che solo un grande esperto di dialogo islamocristiano avrebbe potuto correttamente impostare e sviluppare. Si tratta della storia di un’anima, quale sempre e solo dovrebbe essere ogni conversione. La storia di una incessante ricerca, di una serie di incontri decisivi e di fecondi scambi, di una maturazione umana e religiosa che avviene solo nel tempo e grazie a un costante impegno verso se stessi, verso Dio e nei confronti della comunità. Di quella d’arrivo come di quella di partenza. In questo sta il valore paradigmatico dell’esperienza di padre Abd-el-Jalil. Non si vivevano certo tempi migliori nelle relazioni tra Europa e mondo arabo, a quell’epoca: basti ricordare il colonialismo e le gravi responsabilità dei Paesi occidentali nel mancato processo di emancipazione ed autodeterminazione di molte nazioni nordafricane e mediorientali…

Allora forse ancor più di oggi una conversione poteva apparire come una sorta di alto tradimento! Eppure il grande passo venne compiuto con tutta la forza e la decisione che richiedeva, senza alcuna riserva. Ma, nello stesso tempo, fu vissuto come un compimento piuttosto che come una cesura. Nulla di quanto di buono e di vero egli aveva ricevuto nella sua tradizionale formazione islamica, a partire dalla famiglia, andò perduto. Fedele alle proprie origini almeno tanto quanto lo fu verso il credo cui aveva infine aderito, Jean-Mohammed Abd-el-Jalil cercò in ogni modo di farsi custode e interprete dei valori della sua gente in un mondo che guardava ai musulmani con sospetto o indifferenza. La ricca documentazione di scritti pubblici e privati che padre Borrmans ha raccolto in queste pagine rappresenta dunque una formidabile testimonianza di come lo Spirito sappia talvolta operare ciò che umanamente ci parrebbe impossibile.

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