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Cattolici filippini in Israele. Parla il cappellano

11/05/2007  |  Gerusalemme
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Cattolici filippini in Israele. Parla il cappellano
Fra Angelo a colloquio con una fedele sulla porta di una chiesa di Gerusalemme.

In Israele i cattolici filippini praticanti sono alcune migliaia, suddivisi in sei comunità sparse tra Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa. Il patriarca latino, alcuni anni fa, li ha affidati alle cure di un loro connazionale, il francescano Angel Beda Ison, che ha nominato responsabile della cappellania. Il suo è un lavoro prezioso e discreto quanto quello di un parroco. Ve lo raccontiamo. 


Non pochi lavoratori stranieri in Israele risiedono illegalmente nel Paese. O perché hanno perso il posto di lavoro originario e ora lavorano in nero o perché sin dall’inizio le cose sono andate storte. Non mancano casi di «pellegrini» di Paesi poveri entrati in clandestinità durante un viaggio in Terra Santa e mai tornati a casa con il loro gruppo.

Anche tra i filippini, parecchi sono in posizione irregolare rispetto alle norme israeliane. Proprio per questo non raccontano volentieri la loro storia a un estraneo. A meno che non ci sia qualcuno che apre la strada.

Fra Angelo Beda Ison (57 anni) è l’uomo giusto per schiudere qualche porta. Dal 1999, su incarico del patriarca latino, Michel Sabbah, è responsabile della cappellania per i cattolici filippini.

Lui stesso è nato a Manila, da una famiglia prospera e numerosa che poi si è trasferita negli Stati Uniti. Da giovane ha girato mezzo mondo, imparando varie lingue, tra cui l’ebraico, studiato nel 1976 durante un lungo soggiorno in due kibbutz israeliani.

Dopo molto girovagare si è ricongiunto al suo clan negli Usa ed è lì, che già a una certa età, ha sentito l’irresistibile spinta a vestire il saio francescano in Terra Santa.

«Quando, nel 1991, sono arrivato a Gerusalemme come seminarista teologo – racconta – c’erano già in Israele gruppi di filippini organizzati. Frequentavano la Messa domenicale e avevano preso contatti con i preti. Ben presto mi hanno chiesto di diventare il loro cappellano, ma come frate ancora in formazione dovevo pensare agli studi e concentrarmi sulla vita comunitaria francescana».

Nei momenti liberi fra Angelo non interrompe i contatti con i connazionali. Un altro frate, parroco nella parrocchia di Saint Anthony a Jaffa, lo invita incontrare i tanti filippini che chiedono assistenza spirituale e continuano ad aumentare.

Nel 1995 padre Ison diventa prete e nel ‘99 dà retta alle insistenze di alcune suore che consigliano l’istituzione di una cappellania. Il patriarca latino sposa l’idea e nomina fra Angelo cappellano.

In questa veste il francescano si fa carico dell’assistenza ai lavoratori che anche lontano dalla patria continuano a coltivare il rapporto con la fede. Non bisogna credere che tutti i filippini (oggi si calcola che in Israele siano tra i 30 e i 35 mila) vadano regolarmente in chiesa. Ad essere ottimisti è praticante una persona su quattro. Chi lavora come badante vive tutto il tempo con la persona che assiste. Il lavoro è stressante e lascia solo 36 ore libere a settimana. Quel giorno e mezzo viene dedicato al riposo assoluto, allo svago in locali e discoteche, all’incontro con gli amici. Un incontro che spesso avviene in grandi appartamenti che i filippini affittano collettivamente e che si popolano nel week end, quando la gente vi cerca un porto tranquillo dove dormire, cucinare, chiacchierare, amoreggiare forse.

Le comunità di fedeli organizzate sono sei, dislocate a Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa. Il cappellano le visita tutte almeno una volta al mese. Celebra la Messa, confessa, ascolta i problemi spirituali e materiali della gente, cerca di offrire aiuto come può.

Le sue principali collaboratrici sono oggi tre suore inviate nel 2004 dalla provincia filippina della Congregazione di St. Paul de Chartres. Anch’esse si fanno carico delle frustrazioni dei connazionali; guidano incontri di catechesi biblica; coadiuvano fra Angelo nei colloqui con i genitori e i padrini dei battezzandi e con le coppie che chiedono di celebrare le nozze. «Alcuni – osserva il cappellano – sono cattolici solo di nome. Hanno ricevuto il battesimo, ma nessuna istruzione religiosa. In quei casi bisogna partire dall’abc e ci voglio più colloqui».

A tenere alto il tenore della vita spirituale e comunitaria dei filippini praticanti contribuiscono molto movimenti di impronta carismatica come El Shaddai e Couples for Christ entrambi nati nei primi anni Ottanta del secolo scorso a Manila. I membri di questi gruppi sono molto solidali tra loro, si offrono anche reciproco sostegno psicologico, pregano insieme e si impegnano a testimoniare il Vangelo tra gli altri immigrati e nelle famiglie in cui lavorano (per lo più si tratta di collaboratori domestici o badanti).

Le liturgie sono vivaci e ben animate da un coro. Quando le presiede fra Angelo cerca sempre di proporre le sue riflessioni tramite aneddoti o annotazioni umoristiche. «Questa gente – motiva – ha già mille problemi nella vita di tutti i giorni. La Messa settimanale deve essere per loro anche un momento di serenità. Per questo non posso fare omelie pesanti o troppo dense».

«Il mio lavoro con i filippini è tutto qui», conclude il francescano. «Anche se il mio cellulare è sempre acceso e tutti sanno come raggiungermi qui al convento di San Salvatore a Gerusalemme, certamente non riesco a raggiungere tutti. Per questa ragione il mio primo dovere nei confronti degli immigrati filippini è la preghiera quotidiana: sto accanto a tutti loro con la preghiera di intercessione».

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