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30 rabbini sulla Spianata delle Moschee

Giorgio Bernardelli
14 maggio 2007
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30 rabbini sulla Spianata delle Moschee
Uno scorcio della Spianata delle Moschee vista dal Monte degli Ulivi, a Gerusalemme. (foto J. Kraj)

Tra un paio di giorni Israele celebrerà il giorno della «riunificazione» di Gerusalemme, avvenuta 40 anni fa alla fine della Guerra dei sei giorni. Una ricorrenza che non viene per nulla condivisa, ovviamente, dalla parte palestinese, che ugualmente rivendica la città come capitale. In questo clima, domenica trenta rabbini si sono recati, scortati dalla polizia, a pregare sul Monte del Tempio... Un gesto carico di conseguenze, sponsorizzato dalla destra israeliana, che rischia di alzare il livello di tensione nella città santa.


Israele si prepara a celebrare, mercoledì, il Jerusalem Day, cioè i 40 anni dalla «riunificazione» della città alla fine della Guerra dei sei giorni. Ed è in questo clima che va letta la notizia che rilanciamo oggi, che riprendiamo dal sito di Arutz Sheva, l’agenzia vicina ai partiti religiosi israeliani e ai coloni.

Hillel Fendel ci informa che trenta rabbini, scortati ovviamente dalla polizia, domenica si sono recati a pregare sul Monte del Tempio, il luogo dove oggi sorge la Spianata delle Moschee. Si tratta di una piccola ma significativa (e pericolosa) svolta all’interno del mondo religioso ebraico. Perché finora l’orientamento prevalente tra i rabbini era stato quello di vietare questo tipo di gesto. E non per ragioni politico-diplomatiche, ma di tipo prettamente religioso: il diritto religioso ebraico (l’halakhah) vietava infatti l’ingresso nelle aree più sacre del Tempio. E dunque – era la tesi – non essendoci certezze sull’esatta dislocazione del Tempio, andando a pregare sul Monte si rischierebbe di trasgredire questo divieto.

L’iniziativa di domenica va in direzione opposta: avviene non a caso proprio di domenica (cioè in quella situazione di purezza lasciata dietro di sé dalla celebrazione dello shabbat) e con l’accompagnamento di alcune guide che indicano la presunta collocazione delle zone del Tempio in cui era vietato l’accesso, in modo da rispettare comunque il precetto dell’halakhah. Ma soprattutto è un gesto con un intento dichiaratamente esemplare: è un invito esplicito rivolto a tutti gli ebrei osservanti a tornare a recarsi a pregare sul Monte del Tempio, cosa che in forma ampia e ufficiale non succede più dalla conquista araba di Gerusalemme nel 637 (i romani e i bizantini permettevano ancora agli ebrei un pellegrinaggio annuale sulle rovine del Monte del Tempio).

È interessante notare anche la provenienza dei rabbini: vengono tutti da Kyriat Arba, il Gush Etzion, Maale Adumim, Kedumim, tutti insediamenti israeliani in Cisgiordania. Nella situazione confusa del dopo-guerra libanese è evidente il tentativo della destra dei coloni (onoramente battute nelle elezioni del 2006) di rialzare la testa. L’iniziativa di Gerusalemme fa il paio infatti con l’acquisto della «Peace House» in una zona araba di Hebron (vedi il post del 10 aprile), dove a due mesi ormai di distanza e nonostante le dichiarazioni del ministro della Difesa Peretz i coloni rimagono tuttora dentro la casa. L’impressione è che adesso dobbiamo prepararci anche ad alcune domeniche di grandi tensioni sul Monte del Tempio/Spianata delle Moschee.

Clicca qui per leggere l’articolo di Arutz Sheva

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