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A Beirut equilibri in crisi

14/02/2007  |  Milano
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A Beirut equilibri in crisi
Libano, tra passato e futuro un presente incerto.

Il Libano è di nuovo una nazione in bilico, in cui i fermenti che agitano lo scacchiere mediorientale si rispecchiano nelle lotte di potere tra le varie fazioni interne. Alle mai esauste diatribe tra le varie anime religiose e politiche si associano oggi le aspettative di nuovi protagonisti della borghesia emergente. Nostra intervista al vicedirettore di Famiglia Cristiana Fulvio Scaglione, da poco rientrato da un viaggio nel Paese dei cedri.


La cronaca di queste ultime ore racconta di gravissime tensioni in Libano. Sull’argomento abbiamo intervistato Fulvio Scaglione, direttore di Club3 e vicedirettore di Famiglia Cristiana, che è ritornato dal Paese dei cedri pochi giorni fa.

Altri morti in Libano dopo l’attentato avvenuto ieri, 13 febbraio, nella città cristiana di Bikfaya. Ma qual è la situazione? E che cosa possiamo aspettarci?
Non dovevamo farci ingannare dalla calma delle ultime settimane e infatti questi morti confermano che, dietro l’apparente tranquillità, continuano i fermenti che potrebbero portare a nuove, gravi violenze. Questo, in ogni caso, è il sentimento dei libanesi. Per fare un solo esempio: ho telefonato in questi giorni ai miei amici libanesi, che per oggi, 14 febbraio, giorno in cui sono previste nuove manifestazioni di protesta, si sono già organizzati per non uscire di casa e non esporsi. Il peggio è che non è praticamente possibile individuare con precisione una causa o un colpevole. C’è un insieme di tensioni e di pulsioni, alcune anche di lunga data, che rischiano di scuotere lo Stato fin dalle fondamenta.

In che senso?
Intanto c’è il problema costituzionale. Com’è noto, in Libano vige una ripartizione comunitaria e confessionale degli incarichi di potere, secondo uno schema stabilito nel 1943 e ribadito con gli Accordi di Taef nel 1989. Gli Accordi hanno ridotto il margine di potere dei cristiani, ai quali spetta il presidente, a favore dei musulmani, sia i sunniti che hanno il primo ministro sia gli sciiti che hanno invece il presidente del Parlamento. Questo perché nel 1943 i cristiani erano la maggioranza della popolazione mentre oggi la maggioranza è musulmana. E tra i musulmani gli sciiti sono prevalenti. Sembrerebbe un «semplice» conflitto tra cristiani e musulmani ma non è così. I cristiani sono divisi come pure i musulmani, e qualche settimana fa gli scontri si sono equamente ripartiti: il martedì violenze e morti tra i cristiani, tra sostenitori del generale Aoun e Milizie libanesi, tra opposizione e maggioranza di governo; il giovedì tra sunniti e sciiti, ovvero tra governo e opposizione. Con una differenza: dopo gli scontri tra musulmani, lo sceicco Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha emesso una fatwa ordinando ai suoi di rifuggire dall’uso della forza.

Come si spiega?
Nessuno, neppure Nasrallah, può affrontare a cuor leggero la prospettiva di un conflitto tra sunniti e sciiti, che rischierebbe di essere lacerante come quello che sta distruggendo l’Iraq. Hezbollah è appoggiato dall’Iran e dalla Siria ma i sunniti libanesi sono sostenuti dall’Arabia Saudita che è a sua volta spalleggiata dagli Usa. Rafik Hariri, l’ex premier artefice della ricostruzione di Beirut, fu ucciso in un attentato nel 2005, aveva fatto fortuna in Arabia Saudita ed era considerato l’uomo di fiducia della casa reale saudita. E dentro questo conflitto interno all’islam, che è poi il problema oggi più lacerante del Medio Oriente, c’è la particolarità sociale del Libano. Gli sciiti un tempo erano gli strati più poveri della popolazione delle campagne. Negli ultimi anni, grazie anche all’emigrazione in diversi Paesi africani, hanno però creato una borghesia che ambisce a erodere le posizioni economiche di quella sunnita, tradizionalmente forte nell’industria e nel commercio, nella grandi città e lungo le coste. Ancora una volta, religione, politica ed economia si intrecciano in Libano in modo quasi inestricabile.

E il futuro dei cristiani?
Difficile fare previsioni. Le Chiese cristiane mostrano chiari segni di preoccupazione e moltiplicano gli sforzi per una collaborazione tra le diverse confessioni. È chiaro che i cristiani dovrebbero far gruppo e cercare di mediare tra le fazioni islamiche, il che renderebbe il loro ruolo indispensabile. Ma sono divisi e questo li mette a rischio. Purtroppo i lunghi anni della guerra civile hanno seminato odi e rancori che sono difficili da spegnere. E infatti, durante i disordini, si vedevano in strada soprattutto giovani e giovanissimi, i «figli della guerra», coloro che hanno ereditato le acredini dei genitori e dei fratelli maggiori. Per questo sono facilmente manovrati dagli Aoun, dai Gemayel, dai Jumblatt, insomma dalle vecchie famiglie che da decenni si disputano il potere sulla pelle del Libano e dei libanesi.

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