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Israele, l’Indice della pace tende al brutto

28/11/2006  |  Milano
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Israele, l’Indice della pace tende al brutto
Scettici sul futuro. (foto M. Gottardo)

Rilevato mensilmente da alcuni esperti dell'Università di Tel Aviv, l'Indice misura gli umori della popolazione israeliana su temi come guerra e pace. Secondo i sondaggi più recenti neppure un israeliano su cinque ritiene che un giorno Israele raggiungerà la pace con le nazioni arabe del Medio Oriente. Per gran parte degli intervistati la bestia nera rimane la Siria, nonostante il volto minaccioso dell'Iran di Ahmadinejad.


Appena il 17 per cento degli israeliani crede che un giorno verrà raggiunta la pace con gli Stati arabi. Il 57 per cento di essi si dice anzi convinto che la situazione della sicurezza sia nettamente peggiorata nel Paese e il 68 per cento è sicuro che attentati, assalti armati e bombardamenti continueranno ad avere Israele come obiettivo primario del mondo arabo.

I risultati tracciati dall’ultimo Peace index, un indice mensile stilato dal Tami Steinmetz Centre for Peace Studies dell’Università di Tel Aviv sotto la supervisione dei docenti Ephraim Yaar e Tamar Hermann, conferma un trend costante degli ultimi anni. È dal fallimento del vertice di Camp David (luglio 2000) e dall’inizio della seconda intifada (settembre 2000) che il pessimismo sulla fine delle ostilità e delle diffidenze con gli arabi si è propagato nell’opinione pubblica israeliana.

Tra i Paesi più temuti c’è la Siria, che preoccupa più dell’Autorità nazionale palestinese. Ben il 63 per cento degli israeliani crede che non sarà raggiunta un’intesa pacifica con Damasco, contro un misero 18 per cento di «ottimisti». Il 51 per cento si dice convinto che la situazione è destinata a peggiorare a tal punto da ritenere probabile lo scoppio di una guerra tra i due Paesi. Da notare, peraltro, che ben il 67 per cento degli intervistati si opporrebbe a un’intesa con la Siria nel caso in cui essa prevedesse il ritiro completo dalle Alture del Golan. Solo il 16 per cento degli israeliani appoggerebbe un simile accordo.

È interessante inoltre notare come nessuno dei principali politici dello Stato ebraico riesca ad ottenere, secondo il Peace index, un’ampia fiducia da parte dell’opinione pubblica israeliana sul tema della sicurezza. Alla domanda «A quale ministro affiderebbe la formulazione della politica di sicurezza di Israele?», un terzo degli intervistati ha risposto «Nessuno di quelli proposti nel sondaggio» (un’opzione peraltro nemmeno prevista tra le risposte). La rosa offerta includeva il ministro della Difesa, Amir Peretz (che ottiene appena il 2 per cento di fiducia); il primo ministro Ehud Olmert (fermo al 6 per cento); il ministro degli Esteri Tzipi Livni, il ministro della Sicurezza interna, Avi Dichter, e il ministro per le minacce strategiche, Avigdor Lieberman, nessuno dei quali va oltre il 17 per cento. Da segnalare che proprio la nomina di Lieberman, stando al 42 per cento degli intervistati, avrà un effetto negativo sia sui rapporti tra arabi e israeliani sia sui negoziati politici con l’Autorità nazionale palestinese.

Il clima di generale pessimismo e insicurezza si riflette anche nella posizione dell’opinione pubblica riguardo alle incursioni dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, che nelle ultime settimane hanno provocato la morte di molti palestinesi, parecchi dei quali inermi. Ebbene, solo il 21 per cento degli israeliani, stando al Peace Index, pensa che la protezione dei civili palestinesi nei Territori debba essere un fattore primario per le truppe di Tsahal. Con il 29 per cento degli intervistati convinto che, anzi, il «fattore civili» non dovrebbe affatto essere un elemento che l’esercito debba tenere in considerazione.

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