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«Opere della fede», dalla parte dei cristiani di Betlemme

Daniele Civettini
5 aprile 2006
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Sobhy Makhoul è la voce e la mente di questa associazione che si adopera per esportare l'artigianato betlemmita nel mondo. Un impegno per offrire un aiuto alle famiglie in difficoltà, perché i cristiani restino in Terra Santa.


Alzi la mano chi, durante un viaggio in Terra Santa, non ha comperato almeno un oggetto in legno d’ulivo. L’artigianato in legno e madreperla, specialmente di soggetti religiosi cristiani, è un vanto della regione di Betlemme. Merito di una tradizione invalsa presso i palestinesi di quella zona, tramandata di padre in figlio fino ai giorni nostri, che ha la sua origine nell’insegnamento di alcuni artisti portati dall’Italia dai francescani nel XV secolo. E così presepi, crocefissi, rosari e piccole croci in legno d’ulivo hanno riempito nei secoli le bisacce dei pellegrini che tornavano in patria dopo aver visitato i luoghi santi.

Ancora oggi la produzione di questi manufatti rappresenta un comparto significativo nell’industria turistica della Palestina, anche se l’inizio della seconda intifada e la battuta d’arresto dei pellegrinaggi, ha messo in pericolo la sussistenza di tante imprese artigianali e gettato sul lastrico molte famiglie.

Proprio per offrire un aiuto ai cristiani di Betlemme e agli artigiani locali, alcune associazioni si sono attivate per esportare questi prodotti all’estero e limitare così i danni alla popolazione. «Opere della fede» è una di queste associazioni, e merita particolare menzione perché il suo impegno va ben oltre il pur meritorio sostegno ai bisognosi.

Sobhy Makhoul, la voce e la mente di questo organismo, è un personaggio affascinante. Diacono e segretario del patriarcato maronita di Gerusalemme, docente all’Università cattolica di Betlemme, Makhoul gira il mondo per proporre i prodotti dell’artigianato della città del Natale, e per parlare della situazione della Terra Santa. Ascoltandolo, si capisce come per lui i due aspetti siano strettamente legati, perché sullo sfondo c’è il disegno di Cristo su questa terra e sul mondo.

Ci sarà la pace in Terra Santa? Pone in ogni suo incontro questo interrogativo. La risposta è secca: «Secondo me non ci sarà mai la pace in Terra Santa». Poi chiarisce: «La pace ci sarà solo se gli ebrei e i musulmani riconosceranno Gesù Cristo». È come attendere la fine del mondo, verrebbe da dire. Ma le ragioni portate dal diacono maronita sono difficilmente contestabili: «Per potere fare la pace ci vuole giustizia, e per fare giustizia ci vuole il perdono. Il concetto di perdono è presente sia nell’islam che nell’ebraismo, ma è solo il perdono di Dio verso l’uomo». Vale a dire: ebrei e musulmani, come spiega Makhoul, non possono perdonarsi perché perdonare è diritto e prerogativa divina, che l’uomo non può usurpare. All’uomo privo di Cristo non è concesso né pentirsi, né perdonare. La presenza dei cristiani in Terra Santa rappresenta la testimonianza del perdono vissuto per grazia di Cristo e riversato sul prossimo; è quindi l’unica speranza in mezzo alla disperazione.

Proprio in virtù di questo ruolo e di questa missione, in Terra Santa deve continuare la presenza cristiana; ed è compito dei cristiani di tutto il mondo sostenere questi fratelli, in modo che non lascino la Palestina. Aiutarli a vivere dignitosamente del loro lavoro è già molto. Ricordiamocene quando avremo occasione di comperare un semplice rosario d’ulivo.

Per conoscere meglio i prodotti di legno d’ulivo di Betlemme e i fini dell’associazione «Opere della fede» è possibile visitare i seguenti siti: www.maronitejerusalem.org/opere e www.operedellafede.com

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