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Non dimenticate la città del Natale

Giuseppe Caffulli
7 aprile 2006
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Intervista con padre Amjad, parroco della Natività. Si registra un aumento dei pellegrinaggi ma i giovani di Betlemme faticano ad immaginare il proprio futuro.


Il grigio del cemento del cosiddetto «muro di sicurezza» te lo senti appiccicato all’anima ben oltre il check point che separa lo Stato d’Israele da Betlemme. Lo vedi a perdita d’occhio, quel muro, salire ed incunearsi tra vallette e colline, irrispettoso di campi e villaggi, incombente sulle case. Dalle finestre di molte abitazioni non filtra più luce, ma solo la polvere alzata dai mezzi militari e i bagliori dei reticolati metallici mossi dal vento.

Eppure a Betlemme si spera. Anche questo Natale, nella città che ha visto la nascita del Salvatore, sarà occasione di rinascita e di nuove opportunità. Betlemme vive una situazione certo non facile, il lavoro è scarso; anche ora che si segnala una timida ripresa del turismo, i giovani stentano ad immaginare il loro futuro. Ma la venuta del Principe della pace spinge ad alzare lo sguardo, a cercare oltre. Oltre le barriere e i muri, le incomprensioni e le divisioni.

«Betlemme chiede solo di non essere dimenticata. Quando a Natale i presepi delle nostre case ricorderanno il mistero che qui si è compiuto, ricordatevi solo per un minuto della nostra città, e della comunità cristiana che vive in questa terra»

Padre Amjad Sabbara è il parroco francescano di Betlemme dal 2001, trentanove anni, sacerdote dal 1992. Ci riceve nel suo studio che da sulla piazza della Mangiatoia in un pomeriggio di inizio inverno, mentre le luci della città cominciano ad accendersi.

«Il muro che ci circonda ha cambiato l’identità della città. Gerusalemme e Betlemme sono sempre state due città intimamente legate. Ora le difficoltà di spostamento, la mancanza di lavoro e il clima di segregazione hanno cambiato il rapporto tra queste due città. E per Betlemme inizia una nuova sfida. Chi lavorava nel settore del turismo e nell’edilizia in Israele come a Betlemme, si è trovato per la strada. La crisi del pellegrinaggi ha determinato drastiche riduzioni del personale in tutte le strutture turistiche. Noi abbiamo avuto il 60 per cento dei disoccupati. Adesso la situazione in città è comunque calma. Da un paio d’anni non ci sono incursioni da parte dell’esercito israeliano e coprifuochi. Il clima è più disteso, anche se le limitazioni di movimento sono difficili da sopportare».

Questo trasformazione a livello sociale e antropologico ha rappresentato e rappresenta tuttora una sfida per la Chiesa locale. «Abbiamo dovuto muoverci. Non potevamo limitarci solo alla pastorale ordinaria, mentre le nostre famiglie cristiane erano in grave difficoltà. Così abbiamo iniziato a costruire case, con lo scopo di creare lavoro e di offrire un’abitazione alle famiglie più povere. Questa scelta è stata fatta anche come forma di rispetto della dignità umana: non assistenzialismo, ma lavoro retribuito. Oggi abbiamo completato quattro edifici che ospitano decine di famiglie».

La difficoltà più grande che Betlemme ha dovuto sopportare in questi ultimi cinque anni è quella della diaspora soprattutto del cristiani. Una piaga che ha toccato anche la parrocchia latina di padre Amjad. «Chi aveva una possibilità di emigrare all’estero, di costruirsi un futuro, lo ha fatto. Se ne sono andate le forze migliori. Anche in questo campo come parrocchia abbiamo dovuto muoverci. D’accordo con alcune istituzioni della città, abbiamo organizzato degli stage per universitari. Abbiamo contribuito a pagare loro il salario di sei mesi, per non farli andare via, per tenerli legati alla loro terra. Molti di questi ragazzi, grazie all’esperienza acquisita, hanno trovato un lavoro fisso. Durante questo periodo abbiamo anche tenuto un corso bimestrale, in collaborazione con l’Università di Betlemme, sui temi dell’identità cristiana e della testimonianza. Questa oggi è la sfida più grande: capire qual è la vocazione dei cristiani in questa terra. Solo se i nostri giovani si assumeranno la responsabilità che hanno nei confronti di questa terra, allora si frenerà l’esodo».

Il tema della testimonianza cristiana è centrale anche nell’attività della parrocchia, che con le sue varie attività cerca di rispondere alle esigenze di tutti. «Le famiglie della parrocchia sono 1.270 famiglie, per un totale 5.670 cattolici. Gli ortodossi sono circa 4 mila fedeli, i siriani che contano circa 2 mila fedeli. Poi ci sono altre Chiese cristiane minoritarie di rito orientale e i luterani. La presenza più forte è quella cattolica. Noi siamo aperti e disponibili alla collaborazione con le altre comunità. Uno dei campi privilegiati di dialogo è la scuola cattolica, che è frequentata dai rappresentanti di tutte le comunità, musulmani compresi. In questo modo i ragazzi crescono insieme e imparano a conoscersi.  E sono convinto che il modo migliore per abbattere muri e pregiudizi sia proprio la conoscenza reciproca».

La penetrazione dell’islam politico in alcune frange della popolazione musulmana è un dato di fatto, e le denuncie dei mesi scorsi sono lì a testimoniarlo: violenze, discriminazioni, vessazioni, perfino stupri ai danni delle ragazze cristiane… Padre Amjad è convinto che tutto questo abbia radici profonde in un clima di ingiustizia e di non certezza del diritto che vige tuttora a Betlemme. «La religione è solo uno degli elementi, ma non è il vero motivo di dissidio. Una delle cause principali di contenzioso tra le famiglie riguarda i terreni e le proprietà. Per questo come parrocchia abbiamo promosso incontro anche con il municipio per verificare le situazioni di abuso che sono poi alla base delle violenze. Certo, poi c’è la questione dell’islam politico, ma trova terreno fertile in un clima di ingiustizia diffuso che alimenta le rivendicazioni. E poi nel vuoto sociale che la città vive: i giovani si sentono rinchiusi in una grande prigione. Per questa ragione dobbiamo lavorare sulle motivazioni, sui valori, sull’amore e la responsabilità per questa terra».

Tra gli strumenti che la parrocchia ha messo a punto in favore dei giovani ci sono anche le attività sportive (è in costruzione un centro sportivo al coperto con campi di basket e pallavolo), lo scoutismo, il volontariato in favore delle realtà di bisogno della parrocchia. E poi le tematiche della relazione tra padri e figli, gli aspetti della bioetica e dei vari aspetti della crescita affettiva e psicologica. Il Centro della famiglia con il suo staff si occupa dei casi di bisogno, un gruppo mi affianca nell’attività caritativa; le suore mi danno una grande mano per la pastorale degli anziani. Questa apertura agli altri per noi è la più grande risorsa».

Il Centro parrocchiale, dove ha sede anche l’Azione cattolica, è la sede delle varie attività pastorali legate al catechismo e ai gruppi scout. Una colonna portante della parrocchia è il terz’ordine francescano, che aiuta il parroco nella visita alle famiglie ed è promotore di incontri di lectio divina nelle case. È un impegno di testimonianza rivolto a tutta la società betlemita.

Fuori le luci punteggiano ormai il buio della notte. E Betlemme pare già un presepio. Noi che in Occidente viviamo il Natale spesso solo come occasione di consumo, qui siamo riportati alle profondità del Mistero che si rinnova. «Invito i cristiani di tutto il mondo a non dimenticare il messaggio di Betlemme: qui è nato il principe della pace. Betlemme è il cuore del cristianesimo, il luogo dove Gesù si è manifestato al mondo. Proprio in virtù di questo messaggio d’amore non possiamo dimenticare Betlemme. I cristiani di questa terra hanno bisogno del sostegno e della solidarietà da tutto il mondo. Questo legame, che non deve essere interrotto, potrà aiutare questa città ad essere sempre più ambasciatrice di pace»

«E poi – conclude padre Amjad – invitiamo i pellegrini a tornare a Betlemme, perché solo con la loro presenza questa città potrà tornare ad essere una città normale, vivibile, aperta e serena».

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