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Louis Sako cardinale, un dono ai cristiani iracheni

Terrasanta.net
23 maggio 2018
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Louis Sako cardinale, un dono ai cristiani iracheni
Il patriarca dei caldei, Louis Raphael Sako, con papa Francesco

Il patriarca dei caldei dal 29 giugno sarà uno dei nuovi cardinali scelti da papa Francesco. Per i cristiani iracheni che subiscono da anni gli sconvolgimenti del Paese è un segno di unità con tutti i cattolici.


«Una voce coraggiosa», lo definisce Yousif Thomas Mirkis, l’arcivescovo che quattro anni fa è succeduto a Louis Sako alla guida dei caldei di Kirkuk e Sulaimaniya. Intervistato da Catholic News Service, sul nuovo cardinale aggiunge: «È trasparente nel guidare la nostra Chiesa. Spiritualmente è una persona speciale». Ci vogliono davvero coraggio e forza spirituale nel condurre la più grande comunità cristiana irachena in anni tragici nei quali i fedeli spesso hanno dovuto scegliere tra la fuga o la morte. Perciò la nomina cardinalizia al patriarca dei caldei, Louis Raphael Sako, annunciata da Papa Francesco il 20 maggio, oltre che un riconoscimento alla persona e alla carica, è un segno di vicinanza della Chiesa universale ai cristiani della Mesopotamia.

Nato nel 1948 a Zakho, nell’estremo nord dell’Iraq, Louis Sako dal 2013 è alla guida della Chiesa caldea, Chiesa di rito siro-orientale in comunione con Roma. Ordinato sacerdote nel 1974, ha studiato a Roma e a Parigi. Oltre all’arabo e al caldeo, lingua aramaica della minoranza cui appartiene, parla correntemente italiano, francese e inglese. Quando nel 1986 tornò nel suo Paese, si dedicò alla pastorale a Mosul, dove creò un dispensario per rispondere ai bisogni dei poveri imposti dall’embargo occidentale contro Saddam Hussein. Dal 1997 al 2002 fu rettore del seminario patriarcale di Baghdad e nel 2003, poco dopo l’inizio della guerra, arrivò alla guida dei caldei di Kirkuk dove è rimasto, fino a quando il sinodo caldeo nel gennaio 2013 lo ha scelto per succedere al patriarca Delly nella sede di Baghdad.

Louis Sako ufficialmente porta il solenne titolo di patriarca di Babilonia, che esprime il legame dei caldei con la storia millenaria della Mesopotamia. Scriveva di recente lo stesso patriarca in un articolo: «I caldei sono la popolazione autoctona dell’Iraq. Babilonia era la capitale del grande Impero caldeo che dominò sulla Mesopotamia nel VII secolo a. C. Testimonianze di quella civiltà sono gli ziggurat, la torre di Babele, i giardini pensili, il codice di Hammurabi, la porta di Ishtar. Gli antenati dei caldei piantarono vigne, palme, olivi e grano, eccellevano nell’irrigazione, l’architettura, la musica e la poesia, il diritto e l’astronomia». Su questa realtà si innestò nel II secolo il cristianesimo, con l’evangelizzazione dell’apostolo Tommaso (secondo la tradizione). Nel periodo di maggiore splendore (XIII-XIV secolo), i caldei portarono il cristianesimo fino al cuore dell’impero mongolo. 

La consapevolezza di questo legame profondo con la Mesopotamia, il contributo culturale e civile dato dalla minoranza caldea all’Iraq in un secolo di indipendenza, rendono ancora più dolorose le persecuzioni e le partenze. «La gente non si è sentita sicura – ha denunciato il patriarca –, ha perso fiducia nel futuro e alla fine molti hanno lasciato il Paese. L’emigrazione ha colpito questa presenza storica e indebolito il radicamento nella società. Chi è rimasto si è aggrappato alla patria nonostante i vari governi abbiano fallito nel garantirne i diritti». Perciò i circa 750 mila fedeli caldei sono sempre più sparsi nella diaspora internazionale. Otto diocesi sono in Iraq, le altre si trovano in Iran, Libano, Siria, Egitto, Turchia, Usa, Canada e Australia. A Essen in Germania c’è la comunità più numerosa di emigrati in Europa.

Anche se i vescovi non intervengono direttamente nella complessa politica irachena, la Chiesa è influenzata profondamente dai mutamenti che scuotono il tessuto sociale. Il patriarca ha denunciato il mancato rispetto dei diritti dei cristiani in termini di uguaglianza con gli altri cittadini (ad esempio la legge del 2015 sull’islamizzazione dei minori). La Chiesa caldea sostiene attivamente la coesione nazionale, difendendo lo Stato di diritto e rispondendo ai bisogni della società. Si è spesa per chi, cristiani e non, ha subito l’occupazione di Mosul e della piana di Ninive da parte dell’Isis nel 2014 e solo ora inizia a rientrare nella regione e ricostruire.

Alla vigilia delle elezioni parlamentari dello scorso 12 maggio, Louis Sako ha fatto un appello: «È venuto il momento di assumersi responsabilità nel processo politico, liberandosi dalla mentalità “dipendente” e dalla tendenza a emigrare, per essere sale e lievito nella società». La costituzione riserva 5 seggi parlamentari su 329 ai cristiani. Il patriarca ha auspicato che ci fosse una lista unitaria dei cristiani alle elezioni «per essere più forti insieme», ma non si è realizzata.

Il rischio di scomparire persiste. Secondo alcune stime sono rimasti in tutto 300 mila cristiani nel Paese, un quinto di quanti vivevano 15 anni fa alla caduta del regime di Saddam Hussein. Soprattutto dopo il 2006, quando le milizie armate hanno iniziato a perseguitare anche i cristiani, con sequestri di persona ed estorsioni. Molti sono stati uccisi, altri sono stati costretti a pagare o a fuggire. La paura ha creato separazione e molti rapporti tra cristiani e musulmani si sono interrotti.

Nel dilagare del terrorismo il clero caldeo ha dato alla Chiesa diversi martiri: tra loro, padre Ragheed Aziz Ganni, ucciso a Mosul nel 2007 insieme a tre diaconi, e l’arcivescovo di Mosul Paulos Faraj Rahho, rapito e ucciso nel 2008. Le chiese sono state trasformate in bunker, circondate da muri e filo spinato.

Louis Sako ha lavorato senza sosta per la pace, la riconciliazione tra le varie componenti della società e l’unità tra le Chiese. L’associazione francese L’Oeuvre d’Orient in gennaio ha presentato il suo nome per il Nobel per la Pace 2018 e il comitato norvegese ha accolto la proposta. (f.p.)

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