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Il traffico di minori dallo Yemen

Laura Silvia Battaglia
21 novembre 2016
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Il traffico di minori dallo Yemen

I trafficanti d'esseri umani sottraggono bambini allo Yemen per usarli nei Paesi del Golfo Persico. Spaccio di droga, lavoro minorile e sfruttamento sessuale sono i tristi sbocchi.


Il traffico di minori in Yemen non è mai stato un affare di poco conto. Solo nella città di Haradh, punta d’iceberg dell’omonima provincia al confine con l’Arabia Saudita, secondo la sezione yemenita dell’Agenzia Onu per l’infanzia (Unicef), si registra una media di 500 bambini al mese sicuramente rapiti da altre città o venduti dalle famiglie e che poi hanno attraversato il confine per esercitare attività illegali in Arabia Saudita. Spaccio di droga, lavoro minorile e prestazioni sessuali sono i tristi sbocchi.

I numeri sono alti, posto che si tratta solo dei dati che risultano dall’intercettazione delle vittime del traffico tra i due Paesi confinanti e dalle ordinanze di arresto. Numeri che bastano da soli a dimostrare quanto questo fenomeno, causato da estrema povertà, ignoranza, disoccupazione, mancanza di un sistema educativo obbligatorio, conoscenza delle leggi internazionali che garantiscono i diritti fondamentali dei bambini, sia tristemente diffuso. Dal Centro per la protezione dell’infanzia di Haradh – che si occupa di intercettare al confine i minori vittime della tratta, identificarli e restituirli alle famiglie, dopo averli riabilitati – passano una media di 500 bambini l’anno. Ma le cifre non possono rendere conto appieno di quanto questa miseria incida sul fisico e sulla psiche dei minori in forme, in alcuni casi, irreversibili.

Dal marzo 2015, ossia dall’inizio della guerra tra lo Yemen del Nord, controllato dai ribelli Houthi e la coalizione a guida saudita, che difende il governo lealista, l’area di Haradh ha diminuito fortemente il livello del traffico illecito, sia per la vicinanza al confine, sia per il blocco alla circolazione di uomini e merci da e per l’Arabia Saudita e per il controllo dell’area da parte degli Houthi che da qui e da altre postazioni al confine fanno partire la loro offensiva ai sauditi, con missili terra-aria.

Il numero di minori vittime di questo commercio non sembra però sia diminuito: semplicemente le rotte avrebbero subito una deviazione. È quanto denuncia la ong The Muna Relief Organization secondo cui centinaia di bambini tra i 6 e i 15 anni d’età sarebbero oggetto di rapimenti in Yemen, finalizzati attualmente soprattutto al mercato dello sfruttamento sessuale. Secondo l’organizzazione, i trafficanti si appoggiano alla rete di al-Qaeda in tutto il Paese, con particolare evidenza nell’area del porto di al-Mukalla, fino a pochi mesi fa in pieno controllo dei miliziani di Aqap.

L’ong già citata ha basato il suo rapporto su una serie di testimonianze sia dall’area di Abyan – tradizionalmente il luogo in cui al-Qaeda ha completo controllo e consenso –, sia nell’area del porto di Mukalla, dove un graduato della polizia yemenita (Yemen Central Security Forces), la cui identità resta anonima per ragioni di sicurezza, avrebbe affermato che «i bambini trafficati nel mercato della prostituzione vengono destinati a ricchi committenti nei Paesi del Golfo Persico, salpando dal porto di Mukalla verso l’Etiopia o Gibuti, e da qui verso i Paesi del Golfo, o direttamente da Mukalla alla destinazione del committente. Al-Qaeda ha fatto milioni di dollari con questo traffico e la guerra ha accelerato gli affari».

Il cambio di rotte e la debolezza dei controlli sul territorio, dovuti in parte alla guerra, rendono questo crimine per nulla perseguito. A ciò si aggiunga il fatto che, proprio per la natura di questi crimini, le comunità e le famiglie sono sempre state recalcitranti alla denuncia. La paura dello stigma, dell’esclusione sociale, di ripercussioni e minacce sul gruppo tribale, la vergogna e anche la mancanza di fiducia nei confronti dei media non aiutano nella tracciabilità di queste azioni criminali.

Infine, per chi provi a investigare sulle rotte del traffico, è pronta una vita difficile e una persecuzione senza quartiere. Nel 2014 a Sanaa incontrammo l’avvocato Abdulmalik Ahmed Almutawakil, che in molti processi presta assistenza legale a minori accusati di spaccio o di altro genere di comportamenti criminosi ed è riuscito a mandare alla sbarra sfruttatori, rapitori, trafficanti. L’avvocato Almutawakil – la cui vita adesso ruota intorno a qualsiasi escamotage per salvare la sua pelle e quella dei suoi famigliari, ha dovuto subire minacce e intimidazioni da quelli che ritiene essere gli appartenenti a una gang da lui individuata a Sanaa e dedita al mercato pedo-pornografico dei bambini. «Le minacce sono state indirizzate a me e a mia moglie per tre lunghi anni, affinché smettessi di investigare. Ma non ho smesso. Così, hanno rapito mia figlia». La vicenda si è conclusa parzialmente con il rilascio della ragazzina, ma Abdulmalik ha dovuto produrre parecchi documenti e rivolgersi più volte alle autorità per avere giustizia e vedere riconosciuto il suo status di cittadino ingiustamente perseguitato. «Ho paura ma vado avanti», diceva allora. Lo ripete anche oggi, nonostante la guerra.

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