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La rivoluzione con le ali tarpate

Elisa Ferrero
2 maggio 2016
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Al presidente al-Sisi non sono piaciute le manifestazioni del 15 aprile contro la cessione delle isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Così gli apparati di sicurezza stroncano ogni nuova protesta.


Sembra che il presidente Abdel Fattah al-Sisi si sia molto arrabbiato per le manifestazioni del 15 aprile, contro la cessione delle isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Secondo fonti anonime, citate dal quotidiano al-Shorouk in un articolo del 20 aprile, al-Sisi avrebbe chiamato a rapporto i responsabili di polizia e forze di sicurezza per rimproverarli aspramente dell’atteggiamento morbido tenuto con i manifestanti. Poi, avrebbe ordinato loro di non permettere mai più il ripetersi di «quelle scene». Il giorno successivo, gli uffici della Presidenza hanno prontamente smentito le affermazioni di al-Shorouk, il quale è stato costretto a ritirare l’articolo e scusarsi formalmente.

Poche ore dopo, tuttavia, è stata lanciata una campagna di arresti a tappeto, nelle case, nei caffè e nelle strade, nei confronti di attivisti e altre persone coinvolte nell’organizzazione o nella partecipazione alle proteste. Arresti, in alcuni casi, del tutto casuali, secondo varie testimonianze, pensati evidentemente per intimidire la popolazione non impegnata politicamente. Il Fronte per la difesa dei manifestanti sostiene che fra il 15 e il 27 aprile sono state arrestate, in 22 province, ben 1.277 persone, delle quali solo 618 sono state rilasciate. 

Il 25 aprile, in occasione della seconda giornata di protesta contro «la vendita della terra», molti si aspettavano un’affluenza ancora più grande di quella del 15 aprile. Qualcuno addirittura l’inizio di una nuova rivoluzione e, chissà, la caduta di al-Sisi. Invece, anche a causa degli arresti preventivi, a scendere in strada al Cairo sono state solo decine di persone e la polizia ha dato loro del filo da torcere. Nessun raduno, nessun corteo ha potuto resistere per più di un quarto d’ora, perché la polizia sopraggiungeva puntuale a disperderlo, rincorrendo i dimostranti per le vie. I numeri erano troppo esigui per battere le forze di sicurezza. Dopo qualche ora i manifestanti hanno dichiarato la propria sconfitta e si sono arresi, per questa volta. I gruppetti di sostenitori di al-Sisi, sparsi per la città, che celebravano il giorno della liberazione del Sinai dalle forze di occupazione israeliane hanno invece potuto agire indisturbati, anzi persino protetti dalla polizia.

Dunque, l’atteso nuovo sussulto rivoluzionario non c’è stato. Del resto, i movimenti democratici egiziani, in questo momento, si muovono su un terreno minato. Ciò emerge chiaramente nella dichiarazione rilasciata alla vigilia del 25 aprile dalla Campagna per la tutela della terra, un raggruppamento di partiti politici, forze nazionali laiche, movimenti popolari e personalità pubbliche fedeli alle aspirazioni e alle istanze della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Dopo l’invito a manifestare pacificamente contro la cessione delle due isole all’Arabia Saudita e la repressione delle forze di sicurezza, il testo ribadisce immediatamente il totale rifiuto di qualsiasi collaborazione con i Fratelli Musulmani. Ricorda, poi, che il diritto di manifestare con mezzi pacifici è garantito dalla Costituzione e denuncia il tentativo, da parte degli apparati di sicurezza, di mettere i cittadini egiziani gli uni contro gli altri, fabbricando accuse infondate contro i manifestanti. Il riferimento qui è chiaramente alla tipica accusa, rivolta a qualsiasi dissidente, di lavorare al servizio della Fratellanza.

Il testo della dichiarazione prosegue quindi rinnovando ancora una volta il chiaro e netto e rifiuto, da parte della Campagna, di coordinarsi e collaborare con qualsiasi forza che ambisca a seminare il caos oppure che abbia per il Paese progetti settari, distruttivi o golpisti. La menzione di progetti golpisti, qui, è tutt’altro che accessoria, dato che si vocifera sempre di più di un conflitto interno al regime fra i diversi apparati di sicurezza e intelligence, ognuno con i propri alleati nella politica e nel mondo dei grandi affari. Un conflitto che potrebbe portare alla destituzione di al-Sisi, ma non alla realizzazione degli obiettivi della rivoluzione del 25 gennaio 2011. I movimenti democratici, consci della situazione, non vogliono essere strumentalizzati da questo o quell’apparato per portare al potere un altro presidente autoritario.

Tuttavia, il rifiuto più risoluto e perentorio resta quello nei confronti della Fratellanza Musulmana, sul quale la dichiarazione della Campagna per la tutela della terra torna ancora una volta, diffidando, da un lato, i Fratelli Musulmani dal tentare di «darsi una ripulita», sfruttando le forze laiche, e diffidando, dall’altro, gli apparati di sicurezza dal confondere intenzionalmente le forze laici con gli islamisti per diffamare le prime.

I movimenti legati alla rivoluzione del 2011, dunque, si trovano oggi fra l’incudine di un regime che, seppur diviso, è coeso nella sua oppressione del dissenso democratico e il martello dei Fratelli Musulmani, con i quali non si può – e soprattutto non si vuole – essere associati. La soluzione scelta, per ora, pare essere quella di mantenere una pressione costante a bassa intensità su governo e presidente, concentrandosi soprattutto sulla strenua lotta per i diritti umani.

 


Perché “Kushari”

Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.

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