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Insediamenti, l’avanzata inarrestabile

Giorgio Bernardelli
8 gennaio 2016
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Può cascare il mondo in Medio Oriente, possono scoppiare intifade con forme sempre nuove, possono raffreddarsi o rinsaldarsi i rapporti con Washington, ma c’è una cosa che non muta: la quotidianità dell’avanzata degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Tre esempi tratti dai giornali israeliani di questi giorni.


Può cascare il mondo in Medio Oriente, possono scoppiare intifade con forme sempre nuove, possono raffreddarsi o rinsaldarsi i rapporti con Washington, ma c’è una cosa che non muta: la quotidianità dell’avanzata degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Quella che non passa attraverso scelte eclatanti, ma si nutre di notiziole piccole piccole eppure destinate a lasciare segni profondi. Ecco tre esempi tratti dai giornali israeliani di questi giorni.

Il primo è l’epilogo annunciato della vicenda di Beit al Baraka, dove il titolo dell’articolo di Haaretz dice già tutto: «Il ministero della Difesa approva l’inclusione del complesso di una chiesa in Cisgiordania in un blocco di insediamenti». Sì, avete letto bene: quella che fino a qualche anno fa era una struttura cristiana in Terra Santa adesso diventerà un insediamento israeliano. È la storia, appunto, di Beit al Baraka, un complesso che apparteneva alla Chiesa presbiteriana: si trova a sud di Betlemme verso Hebron, a poca distanza dal campo profughi di Al Arroub, lungo la strada 60, la storica arteria che attraversa tutta la Palestina. Originariamente il complesso era nato come una missione con un ospedale, poi negli anni Novanta venne trasformato in un ostello per pellegrini. Alla fine – però – i conti non tornavano e così è stato messo in vendita. E chi l’ha comprato? Il passaggio di mano è interessante perché spiega bene dietro a quali cortine fumogene avvengano gli acquisti di terra in forza dei quali poi i coloni rivendicano la legittimità delle loro proprietà in Cisgiordania.

Nel 2008 l’Independent Board of Presbyterian Foreign Mission ha ceduto la grande struttura composta da otto diversi edifici alla Scandinavian Seamen Holy Land Enterprises, una società svedese che risulta essere stata creata e poi sciolta appositamente per questa operazione. Nel frattempo – ovviamente – i «marinai scandinavi» avevano a loro volta ceduto la proprietà a un’altra società dal nome bizzarro: l’American Friends of Everest Foundation; un ente no profit americano che in realtà con l’Himalaya c’entra ben poco: si tratta infatti di un paravento di Irving Moskowitz, il magnate delle cliniche e delle sale bingo, che dalla Florida è il maggiore finanziatore dell’espansione dei coloni a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Ottenuta la proprietà restava – però – ancora un problema: Beit al Baraka si trovava fuori dal perimetro degli insediamenti ufficialmente riconosciuti dal governo di Israele. E quindi un insediamento lì sarebbe illegale per la stessa legge israeliana. A risolvere il problema ci ha pensato prontamente il ministero della Difesa, da cui dipende l’Amministrazione civile, l’ente che governa la Cisgiordania: con un decreto ad hoc, e pur non essendoci contiguità, ha ricompreso Beit al Baraka dentro i confini dell’Etzion Bloc, uno dei gruppi più consistenti di insediamenti. Così, con un semplice atto amministrativo, è nato a tutti gli effetti un nuovo insediamento sulla strada tra Betlemme e Hebron.

Nel frattempo – puntuale – è arrivato anche l’altro passo amministrativo che tutti si aspettavano: come racconta il sito di B’Tselem, il 16 dicembre la Commissione per la pianificazione locale di Gerusalemme ha depositato il piano per la costruzione di 891 nuovi appartamenti per l’espansione verso sud dell’insediamento di Gilo, vicino a Betlemme. E che cosa c’è a sud di Gilo? Guarda caso proprio la Valle del Cremisan, quella della lunga battaglia giuridica per la difesa delle 60 famiglie cristiane palestinesi le cui terre rimarrebbero dalla parte israeliana con la costruzione del muro. Battaglia risolta dalle autorità israeliane con un colpo di mano che nell’estate scorsa ha portato all’avvio dei lavori per la costruzione del muro che – nonostante le proteste delle Chiese cristiane – sono tuttora in corso. Depositando il piano urbanistico per l’espansione di Gilo è caduta del tutto la foglia di fico dei «motivi di sicurezza»: la Valle del Cremisan deve rimanere dalla parte israeliana per permettere di costruire nuove case. E togliendo poi alle famiglie palestinesi il diritto di utilizzare la propria terra, domani sarà più facile trovare tra loro qualcuno disposto a venderla, magari a una società dal nome bizzarro.

Del resto – ed è la terza storia – oggi in un insediamento ci si può ritrovare anche senza saperlo. A denunciarlo è il sito +972 con un articolo in cui racconta di appartamenti dove è possibile prenotare soggiorni su Airbnb, il popolarissimo sito internazionale per bed and breakfast. «Ad appena 15 minuti da Gerusalemme», «natura incantevole», «vista mozzafiato sulla Terra Santa»… senza precisare, però, un piccolo particolare: alcuni si trovano addirittura in outpost, cioè in quegli avamposti che sono insediamenti illegali per la stessa legge israeliana e che in teoria (ma solo in teoria) l’esercito potrebbe rimuovere da un giorno all’altro.

È la normalità degli insediamenti. Quella che continua la sua marcia, indifferente a tutto e a tutti. E con un codicillo urbanistico apparentemente innocuo o un annuncio bucolico su Internet rende ogni giorno più difficile la pace in Terra Santa.

Clicca qui per leggere tutta la storia di Beit al Baraka

Clicca qui per leggere l’articolo di B’Tselem

Clicca qui per leggere l’articolo di +972

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