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Israele alle urne, il fattore Feiglin

Giorgio Bernardelli
6 aprile 2019
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Martedì 9 aprile gli elettori israeliani andranno alle urne per eleggere il parlamento. L'esito è incerto fino all'ultimo. E un nuovo protagonista, Moshe Feiglin, potrebbe essere ago della bilancia.


Siamo alla vigilia delle elezioni politiche più incerte degli ultimi anni in Israele. A una manciata di ore dal voto del 9 aprile gli ultimi sondaggi sono concordi su due punti: a) il Likud del premier uscente Benjamin Netanyahu e la coalizione centrista Blu e Bianco guidata dall’ex generale Benjamin Gantz sono dati tra loro molto vicini intorno a quota 30 seggi, cioè appena un quarto dei componenti della Knesset; b) se anche Gantz dovesse spuntarla per lui non sarebbe per nulla facile mettere insieme una maggioranza in grado di ottenere la fiducia del parlamento israeliano.

Bisogna subito aggiungere, però, che fare il sondaggista politico è un duro mestiere in Israele: ci sono tanti precedenti di sondaggi della vigilia usciti clamorosamente smentiti dal voto… Fare sondaggi politici è difficile per via del tipo di composizione dell’elettorato israeliano: la società è molto stratificata in gruppi (laici e haredim, ashkenaziti e sefarditi, nazionalisti religiosi, coloni, russi, arabi israeliani…) ed è molto difficile soppesare bene ogni singola componente in un campione statistico. Per di più questa volta ci sono tante forze politiche che vengono accreditate di un risultato molto vicino al 3,25 per cento, cioè la soglia di sbarramento prevista dal sistema elettorale che assegnare i 120 deputati alla Knesset con un proporzionale puro senza premi di maggioranza. Dunque anche una piccola oscillazione sopra o sotto la soglia di sbarramento può andare a spostare dalla parte di Netanyahu o da quella di Gantz almeno 4 seggi in parlamento. Ecco perché oggi è assolutamente impossibile fare previsioni attendibili; eccetto forse su un punto…

C’è infatti un terzo dato che tutti i sondaggi danno per certo: il fatto che Zehut, il partito di Moshe Feiglin, riuscirà abbondantemente a superare la soglia di sbarramento. E si annuncia come la vera sorpresa delle elezioni politiche israeliane 2019. Sorpresa non tanto per l’emergere improvviso di un partito nuovo: questo in realtà è un grande classico per la Knesset. Il punto vero stavolta è il tipo di forza politica, difficilmente catalogabile: Zehut è infatti un partito della destra israeliana che però ha fatto di un tema tradizionalmente di sinistra come l’antiproibizionismo la propria bandiera, sfondando (parrebbe) nell’elettorato. Un mix difficilmente comprensibile al di fuori di Israele.

Moshe Feiglin, il leader di Zehut, viene dal mondo della destra nazionalista, quello più vicino ai coloni. Negli anni Novanta guidava un movimento di protesta contro gli Accordi di Oslo con azioni clamorose di disobbedienza civile per le quali è stato addirittura processato e condannato a sei mesi di reclusione nel 1997. Entrato nel Likud all’inizio degli anni Duemila ha poi tentato da destra la scalata al partito, sfidando un paio di volte Netanyahu nelle primarie. Dopo l’ennesima sconfitta nel 2015 ha quindi lasciato il partito e ora si presenta alle nuove elezioni con Zehut la cui piattaforma associa un liberalismo molto accentuato (flat tax, voucher per l’istruzione, limiti ai poteri del Rabbinato, liberalizzazione delle droghe leggere…) con un chiusura totale verso i palestinesi. Feiglin è espressamente per l’annessione dell’intera Cisgiordania lasciando ai palestinesi tre possibilità: il trasferimento «volontario» fuori dai confini di Israele, l’ottenimento dello status di «residenti legali» (dopo un giuramento di fedeltà) oppure la cittadinanza (ma solo dopo una verifica della «comprovata lealtà»). Dietro ai discorsi sulla cannabis, dunque, c’è un programma di estrema destra che ha al centro l’intenzione dichiarata di liquidare ogni ipotesi di soluzione dei due Stati (coerentemente con quanto del resto Feiglin sosteneva già vent’anni fa).

A questa forza politica i sondaggi oggi assegnano almeno 5 o 6 seggi alla Knesset (e potrebbero diventare anche molti di più se qualcuna delle forze in bilico non superasse la soglia di sbarramento). Se questo scenario dovesse realizzarsi è molto probabile che Zehut diventi l’ago della bilancia della politica israeliana. Ben consapevole di questo Feiglin (che non ha dimenticato le vecchie ruggini con Netanyahu) ha dichiarato in questi giorni di non escludere a priori un’alleanza di governo con Gantz; giudicherà in base «alle possibilità di realizzare il programma». Dice sul serio o sta solo alzando il prezzo con i suoi ex compagni del Likud?  A scanso di equivoci Netanyahu ha già dichiarato che non è contrario alla legalizzazione della cannabis; ma i partiti religiosi – i cui voti da più di vent’anni sono altrettanto fondamentali per ogni governo israeliano – hanno risposto che non se ne parla neanche. Vedremo dopo il 9 aprile come andrà a finire.

Clicca qui per leggere una scheda del Jerusalem Post su Moshe Feiglin

Clicca qui per leggere la dichiarazione di Feiglin in cui non esclude un’alleanza con Gantz


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

 

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