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Un tempio interiore

fra Francesco Ielpo ofm
31 ottobre 2018
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Un tempio interiore
Caravaggio, San Francesco in meditazione (particolare), Museo civico Ala Ponzone (Cremona)

Anche durante un pellegrinaggio, non sempre riusciamo a fare silenzio e a non essere distratti. Sull’esempio di san Francesco, occorre ritrovare la propria «cella interiore» dove lodare Dio.


Si va in pellegrinaggio anche per fare esperienza di preghiera.

Spesso però sembra impossibile, soprattutto in un pellegrinaggio in Terra Santa. E non mi riferisco solo ai ritmi a volte serrati delle visite, ma anche all’impossibilità che talvolta si percepisce nella confusione di alcuni santuari. Per esempio, può capitare che nella basilica della Natività l’insieme di tante persone con interessi diversi, dal turistico al devozionale, dalla curiosità alla risata, distraggano a tal punto che non ci si accorge neppure di aver baciato il luogo della nascita di Gesù. Eppure, ci si mette in pellegrinaggio con il desiderio di pregare, di fare un incontro vero con il Dio che si è rivelato in quei luoghi e che lì ha compiuto la nostra Redenzione. A volte, però, può accadere di rimanere delusi, amareggiati per un’occasione sprecata.

Se poi si guarda all’esperienza di Gesù si nota che non passava giornata senza trovare un luogo solitario o deserto per ritirarsi in preghiera (Vangelo di Marco 1,35 oppure Mc 6, 46). Ma come è possibile nella vita di tutti i giorni? E, soprattutto, come è possibile in pellegrinaggio?

Ultimamente, quando accompagno i pellegrini in Terra Santa, sento sempre più il bisogno di silenzio, di custodire un silenzio che non è assenza di suoni ma assenza di distrazioni. Che non è il silenzio di quando siamo pensierosi ma il silenzio di quando convergiamo verso qualcosa di meraviglioso che ci lascia senza parole. C’è una preparazione remota all’incontro con il Signore nei luoghi santi attraverso il silenzio. Per esempio, se si esce dall’albergo, al mattino presto, per andare a celebrare la Santa Messa magari all’altare della Crocifissione o nell’edicola del Santo Sepolcro il clima di preghiera e l’incontro con il Risorto dipenderà anche da come facciamo il tragitto a piedi verso il Santuario. Si potrà chiacchierare di molte cose, magari anche importanti, ma sicuramente niente aiuterà come il silenzio. Per non essere vinti dalla distrazione occorrerà disporsi interiormente all’incontro lasciando tacere i nostri pensieri per fare spazio alla sua Presenza.

Ma oltre al silenzio occorre entrare nella propria stanza, nel segreto: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Vangelo di Matteo 6,6). C’è un luogo di intimità con il Signore che è dentro di noi, nel nostro cuore, nella stanza della riservatezza dove non è consentito a nessun altro di entrare. Ma come è possibile entrare nella propria stanza interiore al Santo Sepolcro? Come al Cenacolo? O come lungo la via dolorosa con negozi, gente che urla, spinge e dove si fa fatica a rimanere concentrati?

Se guardiamo all’esperienza di Francesco di Assisi scopriamo come il silenzio e il luogo solitario se non sono possibili per le condizioni esterne si possono sempre ricreare attraverso una «cella interiore». Tommaso da Celano, uno dei primi biografi di Francesco, ci testimonia come il santo di Assisi spesso pregava di notte e ricercava luoghi solitari e quando tutto questo non era possibile «faceva un tempio nel suo petto». Infatti «cercava sempre un luogo appartato dove potersi unire, non solo con lo spirito, ma con le singole membra al suo Dio. E se all’improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola con il mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica per non svelare la manna nascosta. Sempre frapponeva fra sé e gli astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello Sposo: così poteva pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di una nave. Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un tempio del suo petto. Assorto in Dio e dimentico di sé stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro e scompariva ogni altro segno esteriore» (Vita seconda di Tommaso da Celano, n. 94; FF 681).

Francesco ci insegna che si può sempre creare una cella interiore, anche nelle situazioni e circostanze più avverse. Nel mercato di Gerusalemme come nella confusione della basilica del Santo Sepolcro. E non solo in pellegrinaggio, ma anche mentre stai andando al lavoro e sei sul treno, sull’autobus o in metropolitana. Quando sei nel parco a passeggiare o anche quando sei in coda alle poste. Ovunque puoi sempre essere «assorto in Dio e dimentico di te stesso». È un’attitudine che possiamo imparare con l’esercizio e la pazienza nel pellegrinaggio della nostra vita, nelle diverse situazioni.

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