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Israele e Palestina, Trump e i sauditi vogliono un accordo

Fulvio Scaglione
30 novembre 2017
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Pare che il presidente statunitense Donald Trump stia per presentare una proposta forte per la pace tra israeliani e palestinesi. Cruciale il nuovo approccio dell'Arabia Saudita.


Si intensificano le voci che raccontano di un Donald Trump intenzionato a presentare nel giro di poche settimane, pare all’inizio del nuovo anno, una proposta forte per arrivare alla pace tra Israele e Palestina. L’idea è di quelle che ormai sono accolti con risatine di scetticismo o sospiri di noia (tipo: ancora?!?!), perché è lunga la lista dei leader, americani e non solo, che ci hanno provato senza successo.

Il momento, inoltre, non pare propizio. Sul lato palestinese della barricata è in corso il tentativo di mettere d’accordo Fatah e Hamas, ovvero la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, fieramente rivali da quando, nel 2007, Fatah perse dopo una vera battaglia il controllo di Gaza a favore di Hamas, che peraltro aveva vinto le elezioni politiche del 2006. Un eventuale accordo tra le due anime palestinesi sarebbe un grosso ostacolo a una pacificazione con Israele, che considera Hamas un movimento terroristico ed è in questo spalleggiato dagli Usa. Sul lato israeliano, prosegue la politica di allargamento degli insediamenti in terra palestinese, e lo stesso premier Benjamin Netanyahu ha promesso di costruire migliaia di nuove abitazioni in Cisgiordania, per incrementare la popolazione israeliana degli insediamenti che già conta oltre 700 mila persone, ovvero quasi il 10 per cento della popolazione dell’intero Israele. Detto questo, quando mai il momento è stato buono, negli ultimi vent’anni, per un accordo tra palestinesi e israeliani?

C’è una contingenza internazionale che potrebbe favorire Trump. Ed è quella che emerge dalle parole di Yaacov Nagel, fino alla primavera scorsa consigliere per la sicurezza nazionale del premier Netanyahu. Nagel ha parlato dell’Arabia Saudita e del desiderio della nuova dirigenza saudita, con in testa il principe ereditario Mohammed bin Salman, di arrivare al più presto a un’intesa diplomatica con Israele per disinnescare quella che sia i sauditi sia gli israeliani considerano la minaccia più seria, ovvero l’Iran e l’estensione della sua influenza politica e militare in Iraq, Siria e Israele. Un’alleanza alla luce del sole, vista tra l’altro come una benedizione dagli Usa, darebbe a entrambi i Paesi una leva assai forte per contrastare le ambizioni (secondo loro) egemoniche e le intenzioni (secondo loro) aggressive del Paese degli ayatollah.

Per raggiungere lo scopo, però, l’Arabia Saudita deve prima risolvere un problema: i palestinesi. Il Paese che li ha a lungo finanziati e protetti può abbandonarli così, passando anzi al “nemico”, senza temere ripercussioni nel mondo arabo? Certo che no. Però, se nel frattempo Israele e Palestina arrivassero a un qualche accordo di pace…

Secondo Nagel, l’ex consigliere di Netanyahu, ai sauditi «non importa nulla di ciò che potrebbe esserci nell’accordo», basta che ci sia un accordo. Ovvero: ai sauditi dei palestinesi non importa un fico, ma non posso fare la figura di quelli che li mollano, dei traditori della causa. Osservata da questo punto di vista, ecco quindi che la situazione si ribalta. Un accordo tra Israele e Palestina potrebbe convenire a Netanyahu e ai sauditi perché spianerebbe la strada alla loro alleanza, a Hamas e Fatah perché permetterebbe la riunificazione tra palestinesi, ai vari notabili locali come Abu Mazen perché salverebbe le loro poltrone.

Certo, come spiega Nagel, l’accordo sarebbe molto al ribasso. Israele sta vincendo, si allarga di giorno in giorno, perché dovrebbe fare marcia indietro? E l’accoppiata Fatah-Hamas non ha la forza per ribaltare la situazione, né con le armi né con la politica. Per questo le autorità saudite hanno già iniziato una serie di colloqui con i leader palestinesi, probabilmente offrendo loro un aumento dei finanziamenti (l’Arabia Saudita è già il primo donatore) in cambio di un sì al’eventuale proposta di Trump. Il che, alla fin fine, si scaricherebbe come sempre sulle spalle dei palestinesi qualunque. Ma di loro, alla fin fine, a chi importa?

 


 

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Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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