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Nuova (e buona) luce sui filistei

Gabriele Monaco
28 luglio 2017
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Nuova (e buona) luce sui filistei
Un dettaglio della facciata di Medinet Habu mostra i filistei condotti in schiavitù da Ramses III (Foto: Rémih, Wikimedia Commons)

Interpretazioni inedite di antiche fonti letterarie e di recenti scoperte archeologiche riabilitano l'immagine dei biblici filistei. E forniscono nuovi indizi sulle loro origini.


Il vocabolo “filistei” identifica un popolo che ha abitato la Palestina dal XIII secolo a.C., ma anche una persona gretta, insensibile alla bellezza, ottusa. Se la fama dei filistei è così nera da sopravvivere a millenni di storia è soprattutto grazie al ritratto, tutt’altro che positivo, che di loro traccia l’Antico Testamento. Filisteo era il gigantesco guerriero Golia, sconfitto dal futuro re Davide con la sua fionda; filistea era Dalila, che tradì Sansone; filistei erano gli uccisori di re Saul. Un popolo di traditori, cospiratori – e soprattutto politeista -, di cui gli israeliti furono acerrimi nemici. Alcune scoperte archeologiche potrebbero però costringerci a rivedere questa immagine e a riabilitare il popolo filisteo.

Un lungo articolo sull’argomento pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz ricostruisce la storia della popolazione levantina, di cui sappiamo per certo che, tra il 1200 e l’800 a.C., abitava la Palestina nella zona dell’attuale striscia di Gaza, occupando cinque città: Gaza, Ascalona, Ashdod, Ekron e Gat. Il dubbio degli storici è come ci siano arrivati. L’ipotesi più nota era che fossero una di quelle genti soprannominate “popoli del mare”. Invasori, pirati e saccheggiatori, forse originari della zona dell’Egeo, compaiono quasi dal nulla intorno al 1170 a.C., e razziano la Palestina, distruggendone le città, nel momento in cui la civiltà dell’Età del bronzo sta cedendo il passo a quella dell’Età del ferro.

Una biografia del faraone Ramses III, il papiro di Harris conservato a Londra dal British Museum, racconta della vittoria riportata dal faraone intorno al 1190 a.C. contro uno di questi popoli invasori, i peleset, antico nome dei filistei. Secondo il papiro, in seguito alla loro sconfitta i peleset vennero fatti schiavi in territorio egiziano. Gli storici ritenevano che fossero stati deportati a Gaza, allora fortezza egizia, e che poi, quando i faraoni persero il controllo della regione, si fossero guadagnati l’indipendenza fondando il loro regno. Lì, come raccontano le fonti bibliche, avrebbero vissuto in una condizione di continua guerriglia con gli israeliti. Ma una nuova interpretazione del papiro di Harris, insieme ad alcune iscrizioni sulla tomba di Ramses III (il tempio di Medinet Habu) e a dei ritrovamenti nella zona di Antiochia sembrano provare una teoria alternativa.

Shirly Ben-Dor Evian, curatrice del dipartimento di archeologia egizia del Museo di Israele a Gerusalemme, in uno studio pubblicato sull’Oxford Journal of Archaeology, reinterpreta il papiro di Harris alla luce di scavi e ritrovamenti fatti negli anni scorsi nel sud-est della Turchia. Secondo la sua ricerca, gli archeologi hanno avuto troppa fretta nel far combaciare il papiro di Harris con l’Antico Testamento, localizzando in Gaza il luogo dove i filistei furono tenuti in schiavitù. Il papiro dice che vennero condotti in Egitto, senza specificare dove, e secondo Ben-Dor Evian è più probabile che siano stati deportati a ovest del delta del Nilo, nel cuore dell’impero egizio, dove sarebbero stati sotto il diretto controllo del potere centrale. Inoltre, in alcune iscrizioni trovate a Medinet Habu, il tempio funebre di Ramses III, si fa riferimento ai filistei con la parola teher, la stessa usata per identificare i popoli che combatterono dalla parte degli ittiti contro Ramses II nella battaglia di Kadesh. Uno scontro avvenuto però nel 1274 a.C., oltre un secolo prima del presunto arrivo dei «popoli del mare». Ben-Dor Evian ipotizza quindi che i filistei non fossero pirati invasori venuti dall’Egeo alla fine dell’Età del bronzo, ma che anzi Ramses III potrebbe aver ingigantito i fatti, rappresentando i peleset come saccheggiatori e distruttori per giustificare il suo entrare in guerra contro di loro. I filistei perciò potrebbero essere originari dell’area che oggi corrisponde al sud-est della Turchia e al nord della Siria.

L’ipotesi di Ben-Dor Evian è supportata dai reperti trovati nel sito di Tell Tayinat, alcuni chilometri a nord di Antiochia, nell’odierna Turchia, una città che allora si trovava nel territorio dell’Impero ittita. Si tratta di un gran numero di manufatti di terracotta in stile filisteo, anomali per la zona in cui sono stati trovati, e perciò ritenuti oggetti di importazione. Analisi petrografiche hanno però rivelato che furono realizzati sul posto. Inoltre, diverse iscrizioni trovate a Tell Tayinat fanno riferimento a «Taita, re di Walistin», che oggi si ritiene potesse essere pronunciato palistin, identificando quindi il popolo filisteo.

Sconfitti e deportati a sud da Ramses III, oppure dediti alla pirateria approfittando dell’indebolimento delle grandi potenze del tempo, dalla Turchia e dalla Siria i filistei sono poi arrivati nella zona dove anche l’Antico Testamento li posiziona, cioè l’attuale Striscia di Gaza. Del popolo bellicoso, continuamente in guerra contro gli israeliti, non ci sono tracce archeologiche. La città di Gat, da cui proveniva il leggendario Golia, non mostra i segni di distruzione che la caratterizzerebbero se davvero fosse stata contesa tra i due popoli. Né ci sono le tracce di una grande e improvvisa invasione filistea in Palestina. Secondo il professor Aren Maeir dell’Università di Bar Ilan, l’immagine di un popolo che ha soppiantato la popolazione indigena razzia dopo razzia non trova riscontro, dato che pochissime delle città cananee antecedenti alla comparsa dei filistei mostrano segni di un attacco su vasta scala. Al contrario: l’ipotesi ormai più accreditata è quella di una lenta migrazione e di un’infiltrazione graduale in Palestina dei filistei, con la conseguente commistione di culture. I filistei hanno portato influenze dalla Grecia, da Cipro e dall’Anatolia (le loro pratiche funebri, ad esempio, erano tipiche della zona dell’Egeo) per poi sviluppare una loro identità più specificamente levantina.

Stretti legami culturali si sono formati soprattutto con i vicini israeliti. Gli scavi a Gat, a cui il professor Maeir lavora da oltre vent’anni, sembrano confermare l’ipotesi che i due popoli vivessero l’uno accanto all’altro in relativa armonia. «A Gat abbiamo trovato un altare che ricorda le descrizioni degli altari giudaici nelle Scritture, e proprio accanto ad esso una giara dedicata a un tempio filisteo, con sopra un nome giudeo» ha detto il professor Maeir a Haaretz.

Non più pirati e invasori, quindi. Al contrario, i filistei furono per gli israeliti dei buoni vicini di casa.

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