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Un Premio Sacharov nel dimenticatoio

Fulvio Scaglione
22 giugno 2017
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L'avvocato Raif Badawi fu insignito due anni fa del Premio Sacharov per la sua attività di blogger in Arabia Saudita. Ora che sconta una condanna a 10 anni di carcere quasi nessuno si ricorda di lui...


Raif Badawi. Chi è costui? Curioso che ci si sia dimenticati così facilmente di un uomo di 43 anni che due anni fa ha avuto il Premio Sacharov, il riconoscimento che il Parlamento Europeo assegna ogni anno ai campioni della libertà di pensiero e che negli ultimi anni, per fare qualche esempio, è andato alle donne yazide trasformate in schiave sessuali dai miliziani dell’Isis, ai protagonisti delle Primavere arabe e ai dissidenti cubani.

Per gli smemorati, un breve memo. Cinque anni fa, più o meno in questi giorni, Badawi, fondatore di un blog intitolato Free Saudi Liberals, destinato soprattutto a discutere i princìpi di gestione del meccanismo giudiziario in Arabia Saudita, è stato incarcerato e condannato per apostasia. Nel 2013 la condanna è stata portata a 7 anni di carcere e 700 frustate. Nel 2014, in seguito ad appello, è salita a 10 anni di carcere e mille frustate. Di fatto una condanna a morte, perché nessun essere umano è in grado di sopportare una simile tortura. Infatti a Badawi è stata finora inflitta “solo” una razione di 50 frustate, che sono bastate a portarlo in punto di morte.

Certo, viviamo un’epoca in cui ogni giorno si balla sul crinale della terza guerra mondiale e una storia individuale può sembrare poca cosa rispetto al quadro generale. Ma noi occidentali dovremmo tenerci caro un giovane avvocato che, in un regime oppressivo e fanatico come quello saudita, ha il coraggio di scrivere pubblicamente che «i codici che reggono l’amministrazione di uno Stato non possono derivare da un credo religioso». Non siamo, noi occidentali, tutti figli di quel «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Vangelo di Matteo 22,21) che è il fondamento della nostra civiltà?

Forse lo siamo solo quando ci fa comodo. E forse proprio per questo riusciamo con tanta facilità a intenderci con regimi come quello saudita, che sono la smentita vivente a ogni nostro valore, vero o presunto. Nel frattempo Badawi e il suo Premio Sacharov continuano a essere rinchiusi in una galera. E noi continuiamo a riempirci la bocca con parole come terrorismo, libertà, pace che, dette da noi, hanno perso ogni significato.

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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