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I palestinesi ci provano ma la Fifa li delude

Fulvio Scaglione
11 maggio 2017
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Il governo del calcio a livello mondiale ha respinto la mozione di 170 società e federazioni sportive palestinesi affinché la Federazione israeliana fosse sospesa dalle gare a termini di regolamento.


Nemmeno il calcio regala un minimo di soddisfazione ai palestinesi. La Fifa (l’organismo che governa il football a livello mondiale), attraverso una decisione del proprio Consiglio (presidente, otto vicepresidenti e 28 membri eletti per un mandato di quattro anni dalle diverse Federazioni), ha infatti respinto la mozione avanzata da 170 società e federazioni sportive palestinesi affinché la Federazione israeliana fosse sospesa perché di essa fanno parte squadre di calcio che hanno sede negli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi, insediamenti che ancora nel dicembre 2016 sono stati condannati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

La mozione palestinese era basata sul regolamento della Fifa che sul tema dice: «Le federazioni associate e le loro squadre non possono giocare sul territorio di un’altra federazione associata senza il consenso di quest’ultima». Per chiedere la sospensione della Federazione israeliana del calcio (provvedimento che avrebbe poi impedito alle squadre israeliane di club di partecipare alla Champions League e all’Europa League) i palestinesi si sono rifatti alle infinite prese di posizione internazionali che considerano illegali gli insediamenti costruiti in Palestina dagli israeliani a partire dalla guerra dei Sei giorni del 1967.

Tutto vano. La Fifa, presieduta dall’italo-svizzero Gianni Infantino, ex segretario generale dell’Uefa, il 9 maggio scorso ha deciso… di non decidere, alla lettera. Ha infatti stabilito che «il momento è prematuro per prendere una qualunque decisione». Considerato che la discussione sugli insediamenti va avanti esattamente da mezzo secolo, l’aggettivo “prematuro” suona un po’ ridicolo, se non irridente.

La decisione è stata presa dal Consiglio Fifa sulla base delle raccomandazioni di Mosima Gabriel “Tokyo” Sexwale, che nel 2016 fu il candidato dell’Africa alla carica poi ottenuta da Infantino. Sexwale è sudafricano e da anni, ormai, è un imprenditore di successo nel settore minerario. Ma non è sempre stato così “rispettabile”. Al tempo dell’apartheid fu arrestato (nel 1976) e condannato a 18 anni di carcere per terrorismo e cospirazione. Fu rinchiuso nel supercarcere di Robben Island, dove divise la cella anche con Nelson Mandela. Liberato nel 1990, fu eletto governatore del Guateng nel 1994 e dal 2009 al 2013 è stato anche ministro all’Urbanistica.

Oggi, come detto, si occupa di miniere. E ha dato parere negativo alla richiesta dei palestinesi. A quanto pare, la solidarietà dei ribelli di ieri nei confronti dei ribelli di oggi è piuttosto scarsa.

 


 

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Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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