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È l’ora di Rose

di Giorgio Bernardelli
15 gennaio 2014
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Ricordate qualche mese fa la storia di Mohammed Assaf, il cantante palestinese di Gaza vincitore di Arab Idol, il talent show canoro del mondo arabo? Una storia per certi versi simile si sta ripetendo in queste ore in Israele, dove la filippina quarantasettenne Rose Fostanes ha vinto la locale edizione di X Factor. Sfoderando una magistrale esecuzione di My Way di Frank Sinatra, ha battuto in finale la giovanissima Eden Ben Zaken, nata e cresciuta a Kiryat Shmona.


Ricordate qualche mese fa la storia di Mohammed Assaf, il cantante palestinese di Gaza vincitore di Arab Idol, il talent show canoro del mondo arabo? Una storia per certi versi simile si sta ripetendo in queste ore in Israele, dove la filippina quarantasettenne Rose Fostanes ha vinto la locale edizione di X Factor. Sfoderando una magistrale esecuzione di My Way di Frank Sinatra, ha battuto in finale la giovanissima Eden Ben Zaken, nata e cresciuta a Kiryat Shmona.

Rose di professione fa la collaboratrice domestica ed è arrivata in Israele sei anni fa: è un simbolo potente di quei cinquantamila lavoratori stranieri filippini (in grande maggioranza donne) che prestano la loro opera come badanti, camerieri, cuochi, giardinieri. Ma è anche un simbolo della dura condizione in cui si trovano a vivere: la legislazione israeliana è infatti rigidissima in materia. A partire dagli anni Novanta li ha incoraggiati a venire nel Paese per sostituire i palestinesi nei lavori più umili; però lo ha fatto con un sistema di regole che postula una loro presenza solo temporanea in Israele, per non andare a indebolire ulteriormente il peso della componente ebraica negli equilibri demografici nazionali.

Tutto questo si vede molto bene proprio nella storia di Rose, che fino ad ora ha sempre vissuto insieme ad altre sette persone in un appartamento della periferia sud di Tel Aviv, quella zona ad alta densità di immigrati dove l’estrema destra israeliana mette in scena le sue proteste contro gli stranieri. Solo in una delle ultime puntate dello show – e grazie alla produzione di X Factor – Rose ha potuto incontrare dopo anni il suo compagno e la sorella, che stanno nelle Filippine e finora non avevano mai potuto permettersi un viaggio in Israele. Ma l’aspetto più emblematico di tutta questa vicenda è un paradosso che il quotidiano Yediot Ahronot sottolinea bene nell’articolo che alleghiamo qui sotto: in teoria, anche se ha vinto X Factor, in Israele adesso Rose non potrebbe fare la cantante. La legge infatti è chiara: un lavoratore immigrato straniero non può cambiare occupazione rispetto a quella per cui ha ricevuto il visto di ingresso. E quindi lei dovrebbe andare avanti a fare la collaboratrice domestica, esibendosi solo gratuitamente a qualche festa o matrimonio, se non vuole rischiare di perdere il suo permesso di soggiorno.

Conoscendo Israele spunterà fuori in fretta e furia un permesso speciale che le permetterà di iniziare sul serio la carriera di cantante. Ma la contraddizione resta: perché a un lavoratore straniero immigrato in Israele deve essere impedito a priori di poter fare fortuna? E questo è solo uno degli aspetti di una legislazione che viola alcuni diritti fondamentali dei lavoratori immigrati: come abbiamo ricordato tante volte anche in questa rubrica, ad esempio, in nome della salvaguardia dell’ebraicità del Paese lo stesso diritto alla famiglia di queste persone è pesantemente condizionato dal quadro normativo attuale.

«La vittoria di Rose ci dice una cosa sola: ama il tuo prossimo», ha commentato il risultato Rami Fortis, rockstar israeliana nonché uno dei giudici del talent show. Decisamente un bel messaggio, certo. Però la speranza è che aiuti davvero a ricordare che accanto a Rose Fostanes ci sono moltissime altre persone che in Israele coltivano il loro sogno, magari molto più ordinario ma non meno vero. E tra loro ci sono anche le migliaia di richiedenti asilo eritrei e sudanesi che proprio nei giorni scorsi hanno manifestato in migliaia davanti alla Knesset, protestando contro la minaccia di espulsione dal Paese che pende sulla loro testa. Eritrei come quelli che morirono nella traversata sul barcone a Lampedusa (e infatti quei morti sonno stati ricordati qualche settimana fa con una cerimonia anche a Tel Aviv da amici e parenti). «Ama il tuo prossimo»: un giorno in Israele varrà davvero anche per loro?

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot

Clicca qui per leggere il modo in cui ha dato la notizia il sito di Gma, una delle maggiori reti televisive filippine

Clicca qui per vedere le fotografie della manifestazione dei rifugiati eritrei e sudanesi

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