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Israeliani, palestinesi e il petrolio conteso

di Giorgio Bernardelli
5 novembre 2013
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Se un pozzo petrolifero si trova a poche centinaia di metri da una linea di confine, a chi appartengono - secondo le leggi internazionali - i diritti sullo sfruttamento del petrolio che si trova sotto? Potrebbe sembrare un indovinello teorico adatto per un quiz televisivo. Invece è l'ultima frontiera - molto concreta - del conflitto israelo-palestinese...


Se un pozzo petrolifero si trova a poche centinaia di metri da una linea di confine, a chi appartengono – secondo le leggi internazionali – i diritti sullo sfruttamento del petrolio che si trova sotto? Potrebbe sembrare un indovinello teorico adatto per un quiz televisivo. Invece è l’ultima frontiera – molto concreta – del conflitto israelo-palestinese.

Con un articolo apparso in grande evidenza qualche giorno fa sul sito internet di Al Jazeera a finire sotto i riflettori è il pozzo petrolifero Meged 5 della compagnia israeliana Givat Olam. Quello di trovare un giorno giacimenti di petrolio nel proprio sottosuolo è un sogno di lunga data in Israele, legato alla storia dei rapporti non certo idilliaci con i grandi produttori di oro nero. Anche a livello ufficiale per la politica energetica del Paese grandi speranze sono riposte nei giacimenti sottomarini nel Mediterraneo. Nel frattempo, però, l’ebreo ortodosso Tovia Luskin ha scommesso sul fatto che anche nel sottosuolo della Terra di Israele ci sia del petrolio. Dice di averlo capito leggendo un commentario di Rashi sulla Torah (Rashi di Troyes fu un noto rabbino ed esegeta nella Francia dell’Undicesimo secolo – ndr) e di aver ricevuto una speciale benedizione dal Rebbe, la mitica guida spirituale del movimento ebraico Chabad-Lubavitch. Fatto sta che dagli anni 2000 – con la sua società Givat Olam – ha cominciato l’attività nell’area di Meged, che si trova vicino alla città di Rosh Ha’Ayin in Israele. Dal 2010 ha iniziato a estrarre petrolio e a venderlo a una società israeliana.

All’inizio – considerato anche il personaggio un po’ eccentrico – tutti pensavano fosse un affare da poco. Ma qualche settimana fa è arrivata una notizia a sorpresa: le nuove stime compiute dai geologi intorno al pozzo Meged 5 parlano di una quantità considerevole di petrolio che si troverebbe in quel giacimento. Qualcosa come 3,53 milioni di barili (che secondo Al Jazeera significa circa un settimo dell’intera produzione del Qatar). Così la vicenda adesso sta sul serio diventando un caso.

La leadership palestinese sta cominciando a dire che se sotto Meged 5 c’è così tanto petrolio non può essere tutto di Israele: è infatti alquanto improbabile che il giacimento si fermi prima della Linea Verde. Tra l’altro secondo una precisa clausola degli Accordi di Oslo Israele si impegna a non sfruttare arbitrariamente risorse del sottosuolo della Cisgiordania. Ma – come tante altre parti di quell’intesa preliminare – la clausola è rimasta lettera morta. È inoltre impraticabile quella che altrove sarebbe la soluzione più semplice: in mancanza di un’intesa costruire un pozzo palestinese di estrazione del petrolio nei Territori. Essendo le aree C della Cisgiordania totalmente sotto il controllo israeliano Ramallah non può materialmente farlo.

Anche il petrolio – dunque – entrerà adesso tra i temi del negoziato tra israeliani e palestinesi che in gran segreto (ma senza grandi speranze) va avanti sotto la regia del segretario di Stato americano John Kerry. Il petrolio accanto a tutte le altre risorse naturali dei Territori. E proprio su questo tema in questi giorni Al Monitor proponeva un altro articolo interessante: la storia di Halak, l’unica salina palestinese nella Valle del Giordano. Un’impresa possibile solo per il fatto che esisteva già prima del 1967, quando Israele ha assunto il controllo dell’area con la Guerra dei sei giorni. L’impianto ha continuato la sua attività, con la sola differenza che le royalties che prima pagava allo Stato giordano sono state trasferite all’amministrazione israeliana. La salina Halak – però – è sempre rimasto un piccolo impianto marginale, che vendeva il sale solo in grossi sacchi da 25 chilogrammi. Fin quando un imprenditore israeliano, Alon Lior, non si è accorto che quel sale poteva avere uno spazio nella nicchia di mercato del sale da alta cucina. E – d’accordo con la famiglia Halak – ha iniziato a commercializzarlo con un proprio marchio. Così anche la vecchia salina palestinese adesso ha avviato anche nuovi progetti.

Una piccola storia che mostra come la gestione delle risorse della Cisgiordania sia un tema cruciale per il futuro di questa regione del mondo. E che il suo delinearsi come ostacolo o come risorsa sulla strada della pace dipende tutto dalle scelte concrete degli uomini.

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Clicca qui per leggere l’articolo sul pozzo petrolifero di Meged

Clicca qui per leggere l’articolo sulla salina palestinese Halak

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