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Un Social Forum a Ismailiya

di Elisa Ferrero
24 settembre 2013
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La generazione di giovani egiziani che è «rinata» in piazza Tahrir continua a «premere» sulla politica, sulla società e su tutti i suoi attori con tutto il peso demografico e creativo di cui è portatrice. Un sintomo fra altri di questa incessante «pressione» è quanto succederà a Ismailiya fra il 7 e il 10 novembre 2013, una delle città ribelli del Canale di Suez, che a inizio 2013 avevano dato vita a una dura disobbedienza civile nei confronti del governo islamista.


L’immagine prevalente dell’Egitto di oggi è quella di un Paese ormai stretto nella morsa militare, una nazione che trattiene il fiato e serra i denti nel respingere la reazione violenta dei gruppi islamisti, dopo la destituzione di Mohammed Morsi. Circolano immagini di dure battaglie armate, attentati, uccisioni, arresti, il tutto accompagnato dalla seria preoccupazione per un possibile ritorno allo Stato di polizia. Le leggi di emergenza, in effetti, sono state estese di due mesi e il coprifuoco notturno continua, anche se ridotto da mezzanotte alle cinque del mattino.

A fare un po’ da contraltare a questa fosca immagine, c’è l’Assemblea dei Cinquanta, la nuova Costituente i cui lavori stanno finalmente entrando nel vivo. La battaglia campale, in questo caso, riguarda la natura stessa dello Stato: divisione dei poteri fra presidente e Parlamento, ruolo della sharia, sistema elettorale, ruolo dei militari in rapporto al governo civile… La Costituente, guidata da un vecchio volto della politica come Amr Moussa, è senza dubbio molto più pluralista di quella del 2012 dominata dagli islamisti e include persino due giovani di Tamarrud, il movimento senza il quale la stessa esistenza di questa Costituente non sarebbe stata possibile. Sicuramente, però, essendo il risultato di un compromesso fra forze rivoluzionarie e forze ancora legate al vecchio modo di far politica, o al vecchio apparato statale, essa non riflette pienamente gli ideali della rivolta di piazza Tahrir del 2011, né quelli della popolosa generazione di giovani laici che ne erano stati l’anima. Questi ideali, ormai, sembrano lontani, soffocati dalle esigenze della realpolitik e da conflitti molto più grandi di loro.

Eppure la storia, anche quando si ripete, non lo fa mai uguale a se stessa. Esistono sempre delle cesure dopo le quali non è possibile ritornare al punto di partenza e la rivoluzione del 25 gennaio 2011 ne è un esempio. La generazione di giovani che è «rinata» in piazza Tahrir continua a «premere» sulla politica, sulla società e su tutti i suoi attori con tutto il peso demografico e creativo di cui è portatrice.

Un sintomo fra altri di questa incessante «pressione» è quanto succederà a Ismailiya fra il 7 e il 10 novembre 2013. Una delle città ribelli del Canale, assieme a Suez e Port Said, che nel gennaio-febbraio 2013 avevano dato vita a una dura disobbedienza civile nei confronti del governo islamista, Ismailiya ospiterà la seconda edizione del Forum sociale egiziano della gioventù (la prima edizione si era tenuta nel 2012 ad Aswan, nel profondo sud dell’Egitto). L’obiettivo del Forum è di raccogliere le esperienze di tutti i movimenti giovanili nati e formatisi nelle piazze egiziane negli ultimi due anni e mezzo, per confrontarsi su temi fondamentali quali democrazia, cittadinanza, diritti, Stato civile, giustizia sociale. Dopo gli importanti eventi del 30 giugno che – secondo le parole degli organizzatori del Forum – «hanno riportato la rivoluzione sul suo giusto cammino», c’è ora il bisogno di mettere in contatto persone e menti per tirare le somme di quanto è stato fatto, analizzare successi e fallimenti, e ideare il futuro con nuovi progetti.

Come dice il suo stesso nome, l’iniziativa nasce sulla scia del Forum sociale mondiale brasiliano, adottando, come documento di riferimento, proprio la Carta di Porto Alegre. Adotta, inoltre, i noti, significativi slogan: Le persone prima dei profitti e Un altro mondo è possibile. Tuttavia, per calare il Forum egiziano nel suo contesto, il terzo slogan che è stato scelto per riassumerne simbolicamente obiettivi e aspirazioni è quello che ha contraddistinto le rivolte arabe: Pane, libertà, giustizia sociale.

Il Forum sociale egiziano della gioventù, dunque, è locale e internazionale al tempo stesso (sono attese numerose delegazioni da altri Paesi), perché l’Egitto nato a piazza Tahrir si sente in tutto e per tutto cittadino del mondo, consapevole che i problemi che riguardano la libertà, la democrazia, i diritti umani e un’economia più giusta sono universali, sebbene si presentino con sfumature e fisionomie diverse da luogo a luogo. E infatti, parte delle attività del Forum sarà prepararne uno più grande che coinvolgerà tutto il Nord Africa, e poi uno ancora più grande che abbraccerà l’intero bacino del Mediterraneo, oggi attraversato da sommovimenti con molte similitudini.

La gioventù egiziana di Tahrir, sotto la superficie, è sempre in movimento, qualunque cosa succeda. È un periodo, questo, nel quale in Egitto coesistono tre ipotesi diverse di Stato: quella autoritario-militarista del vecchio establishment, quella autoritario-islamista della Fratellanza Musulmana e dei suoi alleati, e quella, appunto, democratica, ma ancora fluida, di Tahrir, che fatica a conquistarsi uno spazio d’influenza ai massimi livelli di governo, ma che è attiva nelle coscienze e ai bassi livelli della società. L’Egitto, oggi, si può leggere attraverso la dialettica fra questi tre poli, con la bilancia che ora pende da una parte ora dall’altra, ma la storia non si ferma e c’è chi scommette che sarà l’ipotesi di Tahrir, alla fine, anche se dopo lunghe e faticose battaglie, a prevalere.

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