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Shomali: Nei negoziati troppa ideologia

Manuela Borraccino
13 ottobre 2010
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Shomali: Nei negoziati troppa ideologia

C’è un approccio «troppo ideologico» nei protagonisti del processo di pace israelo-palestinese riguardo ai Territori, al tema della cittadinanza e alle questioni al centro dei negoziati. È questo il problema, dice il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. William Shomali, che impedisce che maturino i tempi per la pacificazione.


(Roma) – C’è un approccio «troppo ideologico» nei protagonisti del processo di pace israelo-palestinese riguardo ai Territori, alla questione della cittadinanza e ai temi che sono al centro dei negoziati. È questo il problema, dice il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. William Shomali, che impedisce che maturino i tempi per la pacificazione. Il cuore del conflitto, quello che «pochi riescono a cogliere, è il legame fra ciò che in Israele e Palestina si vive e ciò che si attende»: questo aspetto costituisce il valore aggiunto di Ponti e non muri, dice il presule sul libro che presenterà stasera nel corso della rassegna Sguardi sui cristiani del Medio Oriente, insieme all’autore Giorgio Bernardelli e al giornalista irlandese Gerard O’ Connell.

Eccellenza, quali saranno le priorità che terranno banco in queste due settimane?
Faccio miei i temi enunciati nell’Instrumentum laboris. Penso che saranno in primo luogo la necessità di approfondire la fede; secondo, rafforzare la comunione fra le Chiese radunate qui, per dare credibilità alla nostra testimonianza; terzo l’ecumenismo, l’unità con i non cattolici, perché in Medio Oriente sentiamo la divisione tra le Chiese molto di più di quanto non avvenga qui; quarto il dialogo interreligioso, molto importante e che nel Sinodo sta prendendo un posto di primo piano perché senza dialogo non resisteremo; ed infine l’emigrazione, causata dalla paura del futuro ma forse anche da mancanza di fede, perché se qualcuno avverte la propria presenza come vocazione resterà.

Quale sarà il suo messaggio al Sinodo?
Io parlerò dell’unificazione delle feste con i nostri fratelli ortodossi, in particolare della Pasqua, perché è un problema che viene avvertito in modo molto forte da noi.

Dopo che il presidente Obama ha rilanciato i negoziati, e con questa nuova pausa di un mese, a che punto siamo nel processo di pace?
Io penso che il presidente Obama sia sincero: lui vuole la pace come del resto la voleva il presidente Clinton, furono i leader israeliani e palestinesi che furono incapaci di andare avanti. Io spero sinceramente che Obama riesca dove Clinton ha fallito. Anche se non tutto dipende dai politici ma anche dai due popoli. C’è un approccio troppo ideologico da entrambe le parti sui territori, sulle diverse questioni… un malinteso che andrebbe corretto.

A proposito di ideologia, la questione dell’emendamento alla legge di cittadinanza in Israele sta suscitando un aspro dibattito anche in Israele. Lei che ne pensa?
Il governo israeliano sostiene di volere uno Stato democratico, e nello stesso tempo ebraico, così come sostengono di essere l’unica democrazia in Medio Oriente e che non c’è contraddizione fra democrazia e Stato ebraico. Dicono anche che, poiché il popolo ebraico ha sofferto così tanto nel corso della sua storia, non vogliono che altri popoli soffrano. Ma io penso che se noi fossimo in una situazione di pace questa discussione non avrebbe luogo: ciascuno vivrebbe in pace nella propria terra. Invece è la confusione nella quale viviamo a provocare tutto questo, a renderci gli uni sospettosi verso gli altri. Non intendo commentare il disegno di legge, ma una cosa ci tengo a dirla: Israele non può imporre ai palestinesi di riconoscere Israele in quanto Stato ebraico. Lo potranno fare forse con gli ebrei, ma non con i palestinesi, perché questo impedirà ai profughi di tornare nella loro patria. E questo è un altro esempio di un approccio ideologico alla questione, che ha molte conseguenze negative.

Questa sera (13 ottobre) lei presenterà il libro Ponti e non muri, di Giorgio Bernardelli. Che cosa distingue questo libro dai tanti testi usciti in questi anni sul conflitto arabo-israeliano?
Mi è piaciuto perché l’autore ha capito il cuore del problema, che pochi capiscono: il legame fra ciò che si vive e ciò che si aspetta in Israele e Palestina. Io penso che i fatti positivi che lui menziona sono numerosi, sì, ma sono isolati, e controcorrente. Penso ad esempio al tema delle leggi: quelli che vogliono annullare le leggi discriminatorie sono una minoranza, mentre sono molti, moltissimi in Israele a lavorare per la pace, alcuni anche in modo eroico. Anche in Palestina.

Quali storie in quel libro l’hanno colpita di più?
Penso ad esempio alla storia di Ismail al-Khatib, che dopo aver perso il figlio 12enne per mano di un soldato israeliano (che sparò perché pensava che quella che il ragazzino aveva in mano fosse un’arma vera, non un giocattolo – ndr) ha deciso di donare gli organi per salvare la vita a tre ragazzi israeliani. E questo è un fatto straordinario. O alla lettera di Robi Damelin (una delle madri di Parents’ Circlendr) nella quale perdonava il cecchino che ha ucciso il figlio David. Una persona eroica, che non è sola. Sono tante pagine esemplari, anche se purtroppo un’eccezione. Sono eroi che danno sapore alla vita e rappresentano un’oasi nel deserto, sperando che la situazione col tempo migliori e si normalizzi.

(L’appuntamento con mons. William Shomali, Giorgio Bernardelli e Gerard O’ Connell è questa sera in via della Conciliazione 5 a Roma alle 19.15)

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