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Rivlin rassicurante sui beni ecclesiastici in Israele

Christophe Lafontaine
2 gennaio 2019
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Rivlin rassicurante sui beni ecclesiastici in Israele
Il presidente delo Stato di Israele, Reuven Rivlin. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

Il 27 dicembre scorso i leader religiosi cristiani in Terra Santa sono stati ricevuti dal capo dello Stato ebraico. Reuven Rivlin li ha rassicurati: Israele non intende attentare ai diritti di proprietà delle Chiese.


«Non lo faremo mai». Il tono del presidente di Israele Reuven Rivlin è fermo e rassicurante mentre dichiara che «lo Stato di Israele non intende indebolire i diritti di proprietà delle Chiese». La massima carica politica israeliana si è espressa in questi termini il 27 dicembre scorso, quando ha ricevuto nella sua residenza ufficiale i capi delle Chiese locali per un appuntamento ormai consueto nella stagione natalizia. Rivlin ha soggiunto che Israele non inficerà «la capacità (delle Chiese) di conseguire utili a sostegno delle proprie attività». Parole che riecheggiano quelle pronunciate lo scorso ottobre dal ministro della Cooperazione regionale Tzachi Hanegbi, secondo il quale «il governo israeliano non ha intenzione di confiscare le terre delle Chiese o di causare loro alcun danno economico». Da fine febbraio 2018 Hanegbi è incaricato dal premier Benjamin Netanyahu di coordinare le consultazioni con i leader cristiani su una proposta di legge in materia di compravendita di terreni di proprietà ecclesiastica, proprio la normativa a cui ha fatto riferimento anche il presidente israeliano.

Evocato per la prima volta nell’estate del 2017, il disegno di legge è riapparso più volte, e in modi diversi, nel corso dell’ultimo anno. Secondo i promotori, si tratterebbe di permettere allo Stato ebraico di confiscare le terre che in Israele vengono vendute dalle Chiese a speculatori privati. Lo scopo dichiarato del disegno di legge è di proteggere i residenti che a Gerusalemme Ovest abitano in stabili edificati su terreni di cui in passato le Chiese cedettero il diritto di enfiteusi pur conservandone la proprietà. Nel momento in cui si approssima la scadenza dell’enfiteusi, alcune di quelle terre vengono messe in vendita (in particolare dal Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme) e così i residenti si trovano nell’incertezza rispetto alle decisioni dei nuovi proprietari: opteranno per un rinnovo dell’enfiteusi? Vi sarà un aumento dei prezzi? Oppure si prospetta lo sfratto e il conseguente abbattimento degli edifici esistenti in vista di operazioni immobiliari più redditizie? Da questa incertezza nasce l’idea di un’apposita normativa che doti lo Stato di strumenti legali per interventi di tutela.

Secondo le Chiese cristiane, però, i parlamentari della Knesset che spingono il disegno di legge «sono indotti in errore», per citare un’espressione utilizzata dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Theophilos III, nel discorso rivolto al presidente israeliano anche a nome delle altre Chiese e comunità cristiane di Terra Santa. Di fatto, per i leader cristiani, il progetto di legge non farebbe che nazionalizzare le proprietà ecclesiastiche, rendendone impossibile la vendita ai privati e facilitando il riscatto dei terreni da parte dello Stato. Le Chiese reputano che tutto ciò possa minare lo status quo, fin qui vigente tra lo Stato di Israele e le istituzioni non ebraiche, che regge i Luoghi Santi e garantisce i diritti e le prerogative delle Chiese.

Una volta di più, Teophilos III ha parlato di «un disegno di legge discriminatorio, che limita il diritto delle istituzioni cristiane di gestire le loro proprietà e minaccia i proventi che sostengono la missione umanitaria della Chiesa, oltre che la custodia e cura dei Luoghi santi».

Il presidente israeliano ha rammentato che «i rappresentanti legali delle Chiese sono stati invitati a prendere parte al processo legislativo e ad assicurarsi che dall’accordo in discussione non risultino danni per le Chiese». La speranza, ha detto Rivlin, è che «questa discussione e questo dialogo portino a una soluzione». Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme ha sottolineato che i leader delle Chiese di Gerusalemme sono aperti al dialogo e rimarranno «attentamente attivi su questo tema», nella convinzione che «questo disegno di legge non debba aver spazio nel corpus legislativo dello Stato di Israele».

Nonostante le rassicurazioni del presidente israeliano, il patriarca non ha nascosto i timori delle Chiese di veder proseguire «i tentativi di introdurre questo disegno di legge». Sul tema dell’esproprio dei beni ecclesiastici, infatti, alcuni deputati sono piuttosto tenaci, non avendo esitato a riproporre regolarmente di dibatterne nel corso di questa legislatura, ormai giunta al termine con l’indizione delle elezioni anticipate previste per il 9 aprile prossimo.

Ancora di recente, dopo che il primo ministro israeliano aveva assicurato per due volte che un simile progetto sarebbe stato ritirato, è mancato poco perché un nuovo testo venisse messo in discussione alla Knesset lo scorso 23 dicembre. La scelta di calendarizzare il tema in quella data, a poche ore dall’inizio delle festività natalizie, è stata fortemente criticata e percepita come una mancanza di rispetto per i cristiani. L’ordine del giorno è stato ritirato in extremis, su intervento del primo ministro Netanyahu e del presidente Rivlin, così i leader delle Chiese cristiane hanno annullato una riunione d’urgenza convocata per la mattina del 23 dicembre.

L’interrogativo ora è: fino a quando durerà la nuova tregua, considerando il fatto che l’attività parlamentare prosegue ormai a ritmo blando per via dell’imminente scioglimento dell’Assemblea?

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