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Netanyahu accantona, per ora, la Grande Gerusalemme

Christophe Lafontaine
3 novembre 2017
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Netanyahu accantona, per ora, la Grande Gerusalemme
Uno scorcio di Ma'ale Adumim, ad est di Gerusalemme. (foto Hadas Parush/Flash90)

Un progetto di legge israeliano vuole ridisegnare i confini amministrativi di Gerusalemme rimpiazzando popolazione araba con popolazione ebraica. Ma, per ora, Washington si mette di traverso.


La “Grande Gerusalemme” non è per oggi. Nei giorni scorsi Israele ha congelato, almeno per il momento, un progetto di legge controverso. Era previsto che domenica 29 ottobre il consiglio dei ministri mettesse ai voti un provvedimento che ha per obbiettivo il rafforzamento della maggioranza ebraica a Gerusalemme. Il testo allo studio mira ad incorporare nella municipalità gerosolimitana le colonie israeliane che sorgono nei Territori palestinesi di Cisgiordania, poco a sud e ad est della città, allargando così i confini municipali.

Il premier Benjamin Netanyahu ha chiesto di rinviare la discussione del testo su insistenza degli Stati Uniti, che lo considerano un nuovo ostacolo agli sforzi per la pace in Medio Oriente. Così il tema non è approdato al Comitato ministeriale per i procedimenti legislativi che avrebbe dovuto spianare la strada al successivo dibattito parlamentare. «C’è una pressione da parte degli americani secondo i quali si tratterebbe di un atto di annessione che rappresenta un ostacolo al processo di pace», ha dichiarato alla radio dell’esercito David Bitan, portavoce della coalizione di governo in seno alla Knesset (lo riferisce l’agenzia Reuters).

«Il primo ministro non pensa che si tratti di un’annessione e non lo penso neanch’io – ha aggiunto Bitan –. Dobbiamo darci qualche tempo per chiarire le cose con gli americani in modo che quando il progetto verrà approvato, di qui a una settimana oppure a un mese, le cose risultino meno problematiche». L’iniziativa di legge – che ha il sostegno del premier e del ministro per i trasporti e per l’intelligence Yisrael Katz – ha dunque bisogno di un’ulteriore azione diplomatica presso la Casa Bianca, ha spiegato all’Agenzia France Presse un funzionario israeliano coperto dall’anonimato.

Nel dettaglio il progetto di legge propone che insediamenti ebraici in Cisgiordania come Gush Etzion, Efrat, Betar Illit e Ma’ale Adumim – considerati illegittimi dalla comunità internazionale – passino sotto la giurisdizione amministrativa della municipalità di Gerusalemme, benché non si giunga formalmente ad estendere su di essi la sovranità dello Stato di Israele.

Le colonie dei dintorni di Gerusalemme (alcune delle quali sorgono, in Cisgiordania, ad oltre 10 chilometri dalla città) ospitano una popolazione stimata in 150 mila persone che, pur continuando a godere di una certa autonomia, si troverebbero a votare per le amministrative nel Comune di Gerusalemme, contribuendo all’elezione del suo consiglio comunale e del sindaco. Al contempo – spiega il quotidiano The Times of Israel – circa 100 mila persone di etnia araba che vivono nei quartieri palestinesi alle porte di Gerusalemme rimasti al di là del muro di separazione edificato dagli israeliani sarebbero depennate dalle liste elettorali cittadine ed inserite in quelle di una nuova municipalità appositamente creata.

Concretamente, questa iniziativa farebbe pendere la bilancia demografica ufficiale di Gerusalemme a favore della componente ebraica e «restituirebbe a Gerusalemme il suo statuto di simbolo», come recita il preambolo del progetto di legge. Va ricordato che lo Stato ebraico rivendica Gerusalemme nella sua interezza, inclusi i quartieri arabi orientali, come propria «capitale unificata ed eterna».

Dato che compromette ulteriormente la possibilità di creare uno Stato palestinese che abbia per capitale la parte orientale di Gerusalemme, il progetto di legge ha ovviamente suscitato una levata di scudi dei palestinesi. Di fatto, insediamenti come Ma’ale Adumim o Gush Etzion separano Gerusalemme Est dal resto dalla Cisgiordania.

Quest’ultimo progetto di legge, insieme ad altre recenti azioni israeliane, «rappresentano la fine della soluzione a due Stati» che prevede uno Stato palestinese a fianco di quello ebraico osservava giorni fa Hanan Ashrawi, dirigente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (interpellata da France Presse). Le ultime azioni a cui fa riferimento la Ashrawi sono, ad esempio, l’approvazione – nell’ultima settimana di ottobre – della costruzione di 1.323 nuovi alloggi per i coloni in Cisgiordania, portando a 2.646 il numero delle unità abitative israeliane approvate nel giro di pochi giorni nei Territori palestinesi occupati. Trentuno di esse verranno costruite a Hebron, cosa che non accadeva dal 2002. Il movimento israeliano Peace Now, nell’esprimere la propria opposizione al progetto di legge, ha sottolineato che «se adottata, questa legge costituirà un’annessione di fatto e un passo decisivo verso un’annessione di diritto» delle porzioni di territorio interessate. Per Peace Now si tratta di «un’iniziativa pericolosa del governo che sembra determinato a distruggere la possibilità della soluzione a due Stati».

A margine annotiamo che anche la Santa Sede ha nuovamente ribadito di recente «il suo sostegno alla soluzione dei due Stati indipendenti, convinta che sia l’unica opzione che permette la coesistenza pacifica di Israele e della Palestina». Il 18 ottobre scorso lo ha dichiarato a New York mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel corso del dibattito aperto al Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla situazione del Medio Oriente.

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