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Aleppo, quelle luci nelle tenebre

Giuseppe Caffulli
6 luglio 2017
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Aleppo, quelle luci nelle tenebre
Dalla terrazza del convento francescano di Aleppo. La Vergine veglia sulla città distrutta (foto F. Ielpo)

La presenza dei cristiani nella città martire rappresenta ancora oggi una speranza di rinascita. Ce ne parla il Commissario dell'Italia del Nord fra Francesco Ielpo.


«Ho toccato con mano di quanto male è capace l’uomo, ma anche che esiste un bene più grande, in grado di vincere ogni malvagità e di cambiare il cuore dell’uomo». Ha gli occhi lucidi, fra Francesco Ielpo, Commissario di Terra Santa per il Nord Italia, mentre racconta della sua recente esperienza ad Aleppo, in Siria, dal 18 al 26 maggio scorso.

«Sono tre le ragioni che mi hanno spinto ad recarmi ad Aleppo. La prima: ascoltando le testimonianze dei frati della Custodia che vivono laggiù, mi è sorto il desiderio e la curiosità di incontrare quella comunità cristiana. Ero desideroso di stare con loro per imparare come si può vivere da cristiani in quelle circostanze drammatiche. La seconda ragione stata di far visita ai frati. Da Commissario di Terra Santa ho capito che per fare bene il mio servizio, non basta solo leggere libri e riviste, ma occorre condividere, toccare con mano. I miei confratelli sono stati veramente contenti della mia visita e da loro ho avuto una vera testimonianza di fede. La terza ragione: avere delle informazioni di prima mano per sensibilizzare la gente che incontro per la raccolta dei fondi necessari alla missione in Siria. Ho visto con i miei occhi quanto bene fa la Custodia in Siria e quanto serve per i bisogni di quella terra».

 

Come si è svolto il viaggio?
Da Beirut in auto fino ad Aleppo. Un viaggio interminabile. Dal confine siriano fino ad Aleppo ho contato 16 posti di blocco. Uno circa ogni mezz’ora. Per arrivare ad Aleppo abbiamo impiegato 12 ore, passando per strade secondarie, perché l’autostrada non è interamente percorribile. Le strade sono presidiate dall’esercito governativo, ma anche da gruppi armati paramilitari, con pick-up muniti di mitragliatrice… Altre zone sono controllate da iraniani, altre da Hezbollah… Insomma, ti rendi conto di quanto la situazione è complessa. Vedi strade che si inoltrano in territori controllati dallo Stato islamico, e ti chiedi perché i camion carichi di rifornimenti che le percorrono non vengano fermati…

 

Qual è l’immagine della Siria oggi?
Stupisce la distruzione e l’abbandono. Interi villaggi senza anima viva, lasciati in fretta e furia da gente che ora chissà dov’è. Poi quando ci si avvicina ad Aleppo, lo scenario è quello di una città devastata. Sono due le cose che mi hanno colpito: da una parte la distruzione e contemporaneamente la presa di coscienza di quanto male sia possibile. Stando lì, però, ho capito che – per quanto male l’uomo riesca a fare – c’è un bene più grande che poggia su una certezza: la resurrezione di Cristo. E non c’è devastazione che possa soffocare questa certezza.
Papa Francesco il 2 giugno scorso ha detto che nell’oscurità nel momento presente noi cristiani possiamo essere candele che testimoniano che c’è una luce più forte delle tenebre. Questa frase sintetizza quello che ho visto: ho visto tante candele accese, i volti delle persone che ho incontrato.

 

Però l’esodo dei cristiani da Aleppo è stato massiccio…
Erano 250 mila; ne sono rimasti circa 30 mila: questi sono i numeri. La comunità cristiana è decimata. Non ci sono più giovani, perché o sono sotto le armi o sono scappati per non dover combattere. I pochi giovani che vedi, sono figli unici, quindi esentati dalla leva. Oppure hanno problemi di salute.
Ma ci sono anche nuove famiglie… Giovani che si sposano e hanno fiducia che le cose possano cambiare. E poi sono cadute le barriere tra le varie confessioni cristiane. Tutti i cristiani si aiutano e vivono insieme come leggiamo nel Vangelo: «Erano un cuor solo…».

 

In Occidente abbiamo una vera conoscenza di quello che è accaduto in Siria?
Un tema importante è quello dell’informazione. I media non sempre veicolano quello che è utile alla conoscenza di queste tragedie. Si resta a livello superficiale. E una informazione parziale è già un danno. C’è anche chi si informa e si apre all’aiuto. In questo la nostra stampa francescana e cattolica in generale sta facendo un grande servizio. Ma nella stragrande maggioranza la gente è distratta. Non abbiamo la consapevolezza dell’importanza della presenza cristiana in quelle terre. Questo è anche determinato dal fatto che qui in Europa abbiamo forse perso il senso della presenza cristiana nella vita pubblica. La presenza cristiana in quelle terre è vitale perché è capace di cambiare le relazioni, è un bene per tutti, nel rispetto delle religioni e delle culture.

 

Quale aiuto possiamo offrire ai cristiani della Siria?
Prima di tutto pregare. Poi possiamo essere solidali con loro e con l’opera dei francescani, che è tutta volta a fare in modo che i cristiani rimangano. Non è facile nel contesto di distruzione e di povertà attuale trattenere i cristiani. Oggi in Siria, per restare, occorre avere una grande fede… E poi servono case, serve lavoro, assistenza medica, acqua potabile, scuole. Se dovessimo ragionare solo da un punto di vista economico, con le stesse risorse impiegate, si potrebbero aiutare i siriani ad andarsene altrove. Ma questo non è il bene del Paese.

 

E dopo questo viaggio?
Vorrei che questa esperienza non fosse solo per me. Sento il desiderio di raccontare, di condividere. Noi siamo una Chiesa sola, la loro sofferenza è la nostra sofferenza. Mi piacerebbe incontrare più gente possibile per documentare la sofferenza, ma anche la speranza che ho sperimentato. Scuole, gruppi, parrocchie, famiglie… Qualsiasi ambiente che voglia di ascoltare la testimonianza di ciò che ho visto e sentito.

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