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Verso la terza intifada?

09/10/2009  |  Milano
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Verso la terza<i> intifada</i>?
Una folla di musulmani in preghiera sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemme.

Sono di nuovo ore di grande tensione a Gerusalemme intorno alla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio (a seconda del punto di vista da cui si guarda questo luogo). Dopo gli incidenti della settimana scorsa gli occhi sono puntati sulla preghiera di oggi. Sta davvero per scoppiare la terza intifada? In Medio Oriente è sempre impossibile fare previsioni. C'è però un punto che deve essere chiaro: le questioni religiose sono ancora una volta un pretesto. Gli animi si infiammano sempre quando il contesto politico appare bloccato.


Sono di nuovo ore di grande tensione a Gerusalemme intorno alla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio (a seconda del punto di vista da cui si guarda questo luogo). Dopo gli incidenti della settimana scorsa gli occhi sono puntati sulla preghiera di oggi. Sta davvero per scoppiare la terza intifada?

Cominciamo col ricapitolare i fatti: in occasione dello Yom Kippur – come accade ormai da alcuni anni – un gruppo ben preciso di ebrei ultra-ortodossi si è recato a pregare sul Monte del Tempio, rivendicando il diritto degli ebrei a pregare su quella che oggi è la Spianata delle Moschee. Solo che nel clima già di per sé incandescente di queste settimane il gesto è stato subito additato come una provocazione inaccettabile. E a cavalcare il malcontento questa volta è stato un leader che non vive nei Territori palestinesi, ma dentro i confini di Israele: il capo del Movimento islamico sheikh Ra’ad Salah. È stato lui venerdì scorso a guidare la protesta e infatti lui è stato fermato per alcune ore dalla polizia israeliana. Il problema vero, però, per il governo di Gerusalemme è che a dire di «essere pronto a morire per difendere al Aqsa» è uno sheikh che non abita a Ramallah, ma a Umm al Fahm, in Galilea. La tensione ora è forte: oggi la Spianata delle Moschee è blindatissima e questo di solito a Gerusalemme è un mezzo efficace per evitare disordini. Ma il fuoco cova sotto la cenere. E – appunto – c’è chi parla apertamente di una terza intifada, ricordando che la miccia che accese le polveri nell’autunno 2000 fu la visita di Sharon alla Spianata del Tempio.

In Medio Oriente è sempre impossibile fare previsioni: può darsi che – terminata la stagione delle festività religiose – il braccio di ferro rientri, come già accaduto in passato. C’è però un punto che deve essere chiaro: le questioni religiose sono ancora una volta un pretesto. Perché intorno alla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio gli animi si infiammano sempre quando intorno il contesto politico appare bloccato. È questa la vera analogia pericolosa con il 2000. La seconda intifada non scoppiò per la passeggiata di Sharon, ma per il fallimento del processo di pace a Camp David. E oggi il vero pericolo è il punto morto a cui sembrano arrivati gli sforzi del presidente americano Barack Obama. È in questi contesti che un gruppo di fanatici e provocatori può diventare realmente un problema serio.

A confermarlo molto bene è l’articolo del quotidiano inglese The Guardian (che riprendiano dal sito palestinese Miftah) in cui si traccia il ritratto di sheikh Ra’ad Salah. Da dove spunta fuori all’improvviso questo personaggio? La risposta sta nelle tensioni di questi ultimi anni nel «fronte interno» di Israele, quello dei rapporti con gli arabi israeliani. Bisognerebbe infatti ricordare che la leadership di Ra’ad Salah e del suo Movimento islamico – propugnatore di un islam radicale – sono cresciute attraverso la campagna contro il «Museo della tolleranza», il mega-progetto che il Centro Wiesenthal sta costruendo sopra l’ex cimitero islamico di Mamilla a Gerusalemme ovest. Un progetto folle, come abbiamo a più riprese avuto modo di segnalare in questa rubrica. Eppure nessuno lo ha fermato. E oggi sheikh Ra’ad Salah, l’«unico che difende al Quds», è un leader per tanti musulmani cittadini di Israele. La cosa piace solo fino a un certo punto ad Hamas, che come ci racconta Haaretz, ieri ha chiamato tutti i palestinesi a mobilitarsi per difendere la moschea di al Aqsa, il luogo più importante della Spianata delle Moschee. Una mossa ritardataria, che si spiega solo con il timore di ritrovarsi scavalcata da un personaggio come Ra’ad Salah.

Da parte ebraica, invece, bisogna ricordare che quelli che vanno a pregare sul Monte del Tempio sono un piccolo gruppo di fanatici. E questo rende ancora più grave il fatto che il governo Netanyahu non faccia mai nulla per fermarli, dimostrandosi ostaggio dell’ala destra della coalizione. In questi giorni si è mosso invece il presidente Shimon Peres: come racconta l’articolo del Jerusalem Post in occasione della festività di Sukkot si è recato a Mea She’arim, il quartiere degli ultra-ortodossi a Gerusalemme, per far visita al rabbino Yosef Shalom Elyashiv, 99 anni, uno dei leader spirituali di questa comunità. Una visita senza precedenti che si spiega con le parole dette per l’occasione dall’anziano rabbino: Elyashiv ha infatti confermato la proibizione per un ebreo osservante di salire al Monte del Tempio. Posizione condivisa dalla stragrande maggioranza degli esperti di halachà, la legge religiosa ebraica, secondo cui camminare sulla Spianata delle Moschee significa rischiare di calpestare il Santo dei Santi, la parte più sacra del Tempio andato distrutto.

L’unica motivazione capace di reggere l’impatto delle tensioni a Gerusalemme, però, sta ovviamente altrove. E per fortuna in Israele in queste ore c’è ancora chi la ricorda. È il caso di Robi Damelin, del Parents’ Circle (l’associazione di famiglie israeliane e palestinesi che proprio a partire dalla tragedia di aver perso un proprio caro nel conflitto hanno scelto di iniziare un cammino di pace), che ha scritto una lettera aperta, pubblicata su Yediot Ahronot. «Prima che abbracciate il vostro fucile, o una pietra o una molotov o qualsiasi arma vi suggerisca la fantasia – scrive Robi Damelin -. Prima che vi lasciate incasellare nella retorica della protezione dei vostri sacri diritti, prima che siate intruppati nella folla per proteggere ciò che giustamente è vostro, pensate alle conseguenze. Noi, israeliani e palestinesi di Parents Circle-Family Forum, sappiamo bene che cosa diventa la vita quando si perde un figlio, un fratello, una sorella o un altro membro della propria famiglia. (…) Prima di prendere in mano un’arma, ricordatevi che non c’è vendetta capace di ripagare un amore perduto».

Clicca qui per leggere l’articolo del Guardian rilanciato da Miftah
Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz
Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post
Clicca qui per leggere la lettera di Robi Damelin su Yediot Ahronot

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