Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Per un sionismo ben inteso

David-Maria A. Jaeger
5 settembre 2006
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La pubblicazione - nella sezione Attualità del nostro sito - della Dichiarazione di Gerusalemme sul sionismo cristiano, firmata il 22 agosto 2006 da alcuni leader delle Chiese in Terra Santa, ha indotto il francescano David-Maria A. Jaeger - religioso di origini ebraiche - ad inviarci alcune considerazioni personali. Volentieri le riproponiamo ai nostri lettori.


In relazione al tema del sionismo cristiano, stigmatizzato dalla Dichiarazione firmata a Gerusalemme il 22 agosto scorso da alcuni responsabili delle Chiese cristiane di Terra Santa, riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di padre David-Maria Jaeger datata 4 settembre 2006. L’autore è un frate minore di origini ebraiche, giurista ed esperto di relazioni ebraico-cristiane.

Caro direttore,
premettendo la doverosa piena condivisione dei contenuti sostanziali della Dichiarazione di alcuni tra i massimi pastori cristiani di Gerusalemme – riportata da Terrasanta.net il 4 settembre 2006 – che deplora e «respinge» una delirante forma nociva di «sionismo cristiano», nettamente contraria alla fede e alla morale biblica e cristiana, mi preme comunque offrire, quasi una nota in calce alla pagina, anche questa modesta precisazione riguardo al termine «sionismo».

Questo termine ha subito, in certi ambiti di discorso, serie degradazioni, specie a partire dalla guerra del 1967. È da allora che certuni, tra sostenitori e oppositori, lo reinterpretano nel senso giustamente respinto dai sullodati pastori. In origine, però, e secondo la sua propria verità, il sionismo non è che il movimento nazionale del popolo ebraico, in qualche modo analogo, per esempio, al Risorgimento italiano. Esso, nato verso la fine del XIX secolo, rappresenta la brama di libertà, di indipendenza nazionale, per gli ebrei, e perciò la volontà di trasformazione della collettività ebraica da una mera minoranza religiosa sparsa quà e là, in nazione.

Con il sionismo cambia l’autoconcezione degli ebrei che ad esso aderiscono (e non sono mai stati tutti). Una volta creato lo Stato di Israele, frutto ideale del movimento sionista, il sionismo, per un ebreo israeliano, non è più distinguibile dal patriottismo. I sostenitori cristiani del sionismo, in quest’ottica, sono i cristiani non di ceppo ebraico che simpatizzano per le aspirazioni di libertà nazionale degli ebrei, ma anche, e più significativamente, gli ebrei israeliani di fede autenticamente cristiana, per i quali la libera e consapevole scelta di riconoscere in Gesù il Messia d’Israele non cancella – e non deve cancellare – l’identità nazionale, il sano patriottismo.

Così come, nelle parole della Dichiarazione surriferita, «i palestinesi, musulmani e cristiani, sono un solo popolo», pure gli ebrei israeliani, seguaci della religione giudaica e cristiani, sono un solo popolo, condividendo un solo patriottismo – che per i credenti in Cristo, di qualsiasi nazionalità essi siano, deve sempre essere un «patriottismo critico», professato e vissuto sotto la crisis, il giudizio, del Vangelo.

Non è forse fuori luogo osservare che la ri-definizione sionista dell’essenziale identità ebraica – non più solo religiosa, ma anzitutto nazionale – ha reso possibile ai figli del «primo Israele» di entrare a far parte del «nuovo Popolo di Dio» in un modo del tutto normale, come lo farebbero i membri di qualsiasi altra nazione, senza subire necessariamente il trauma dell’apparente perdita della propria appartenenza umana a un popolo e a una cultura particolari. Lo so bene, perchè è stata questa la mia esperienza, da ebreo israeliano che ha seguito Cristo ed è entrato nella sua Chiesa, senza che ciò significhi alcuna rottura dei legami naturali, umani, con la propria nazione di appartenenza «in questo mondo». In tal modo il sionismo, rettamente inteso, potrebbe anche essere visto come, in un certo senso, la preparazione provvidenziale (oltre l’intento, si capisce, dei suoi fondatori) di una via per il Signore.

La tragedia (ancora in atto) è questa, che il risveglio nazionale del popolo ebraico, nelle manifestazioni concrete del suo movimento «risorgimentale» – del sionismo – non ha saputo tener in debito conto la presenza nella terra degli avi – oramai da tanto, tantissimo tempo – di un altro popolo, che stava felicemente sviluppando in pari tempo la propria consapevolezza di essere nazione, vivendo il proprio desiderio di libertà (fino ad oggi non esaudito).

Solo il reciproco riconoscimento – effettivo e non solo a parole – di questi due movimenti nazionali, e l’equa con-divisione dell’antica patria di entrambi, destinata oramai a diventare il territorio di due repubbliche libere e indipendenti, potrà mettere fine a questa tragedia.

Nella ricerca di questo esito, i cristiani da una parte e dall’altra sono certamente chiamati a interpretare un ruolo insostituibile nell’offrire ai rispettivi connazionali l’esempio di patriottismo – e quindi, per gli ebrei israeliani, di sionismo – professato e vissuto «criticamente».

Ecco perché, caro direttore, vorrei che la Dichiarazione delle guide spirituali delle Chiese non sia fraintesa come se «respingesse» il «sionismo» o anche solo il «sionismo cristiano», rettamente inteso e vissuto, secondo la realtà del suo significato storico e originale, che non cessa di essere anche attuale, o comunque da recuperare.

padre David-Maria A. Jaeger, ofm

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