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Allarme del Consiglio ecumenico delle Chiese sull’Iraq

03/10/2007  |  Ginevra
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Allarme del Consiglio ecumenico delle Chiese sull’Iraq
Devastazione in un quartiere cristiano di Baghdad.

Il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) denuncia l'assordante silenzio che circonda la vera e propria crisi umanitaria che affligge la popolazione civile dell'Iraq. E dice: non si può più tacere. La presa di posizione, molto netta, è contenuta in una dichiarazione resa pubblica al termine dei lavori del Comitato esecutivo del Cec, riunitosi a Etchmiadzin, in Armenia, dal 25 al 28 settembre scorso. Oggi, dice la dichiarazione, un terzo della popolazione irachena ha bisogno di assistenza umanitaria, oltre la metà vive in condizioni di povertà, un sesto è stato sradicato dalla sua casa e in due milioni hanno lasciato il Paese come profughi.


(g.s.) – Il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) denuncia l’assordante silenzio che circonda la vera e propria crisi umanitaria che affligge la popolazione civile dell’Iraq. E dice: non si può più tacere.

La presa di posizione, molto netta, è contenuta in una dichiarazione resa pubblica al termine dei lavori del Comitato esecutivo del Cec, riunitosi a Etchmiadzin, in Armenia, dal 25 al 28 settembre scorso.

Il testo affronta il tema dal punto di vista della gente e si apre con un’osservazione: «I diritti umani fondamentali e il benessere di ampi settori della società irachena sono sostanzialmente peggiorati dopo decenni di guerre e di caos e continuano a subire gravi minacce».

Il Cec ricorda che sin dalla prima ora s’era pronunciato contro la guerra lanciata nel 2003 dagli Stati Uniti ritenendola «immorale». Oggi, dice poi citando dati del governo di Baghdad, un terzo della popolazione irachena ha bisogno di assistenza umanitaria, oltre la metà vive in condizioni di povertà, un sesto è stato sradicato dalla sua casa e in due milioni hanno lasciato il Paese come profughi. «Tutti questi gruppi di persone sperimentano un grave e cronico deficit per quanto riguarda la sicurezza alimentare, l’accesso all’acqua pulita e ai servizi fognari, sanitari e scolastici, per non dire della possibilità di guadagnarsi di che vivere. Povertà, privazioni e insicurezza sono a livelli altissimi in Iraq. I reali stanziamenti di risorse nazionali e internazionali per trovare rimedi a questi mali sono molto ridotti. Lo sfruttamento delle vaste risorse petrolifere del Paese porta complessivamente piccoli benefici alla popolazione irachena, mentre le spese militari e per i programmi di sicurezza restano altissime nel tentativo di arginare il conflitto e l’insicurezza».

Una condizione pesante, che si trascina ormai da troppo tempo: «La situazione umanitaria dell’Iraq si è fatta atroce con gli ultimi anni del regime di Saddam Hussein e le sanzioni imposte al Paese. I cui traumi nazionali includono la dittatura, la guerra Iran-Iraq e la prima guerra del Golfo. Dall’inizio dell’attuale invasione a guida statunitense le inchieste sulla salute pubblica indicano che il conflitto ha causato centinaia di migliaia di altre morti e costretto oltre quattro milioni di persone a lasciare le loro comunità».

Davanti a tutto ciò, lamenta il Cec, «a livello internazionale non si vuole riconoscere questa crisi umanitaria e agire per contrastarla. Prevale anzi un clima di silenzio».

Un dramma nel dramma è quello dei cristiani iracheni, che pur rappresentando solo il 4 per cento della popolazione costituiscono il 40 per cento dei profughi. «L’esodo dei cristiani – afferma la dichiarazione del Cec – non è che uno dei tanti segnali che impongono di accostarsi alla crisi irachena con approcci del tutto diversi. Le strategie basate sull’uso della forza non hanno fatto altro che condurre il Paese nel caos e continuare a perseguirle equivale a gettare nuova benzina sul fuoco».

«Come altri cristiani della regione – prosegue il Cec -, i cristiani iracheni sono convinti che il futuro del cristianesimo non stia nell’emigrazione ma nella pace. Le loro Chiese sono tra le più antiche del mondo, ma quelle fondamenta che affondano nell’epoca biblica stanno per essere fatte a pezzi ai giorni nostri». In positivo il testo riconosce che i religiosi musulmani più influenti stanno cercando di usare la loro autorità per contenere la violenza e auspica che un’azione comune di musulmani e cristiani offra un segnale positivo agli iracheni di ogni fede e ai membri delle minoranze.

La denuncia del Cec termina con alcune raccomandazioni alle Chiese che aderiscono a questo massimo organo di coordinamento ecumenico. Devono pregare per il popolo iracheno, offrire solidarietà concreta attraverso le più varie iniziative e adoperarsi per accrescere la consapevolezza della crisi umanitaria sia nell’opinione pubblica sia nei governi. Rompere la congiura del silenzio – dicono da Ginevra – è essenziale.

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