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Fra Pizzaballa: il Papa ha parlato a tutti con grande chiarezza

20/05/2009  |  Gerusalemme
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Fra Pizzaballa: il Papa ha parlato a tutti con grande chiarezza
Il Custode di Terra Santa accanto a Benedetto XVI sul sagrato della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme il 15 maggio scorso. (foto F. Proverbio)

Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha seguito passo passo il viaggio di Benedetto XVI nella terra della Bibbia fin dall'avvio in Giordania, l'8 maggio. E può a ragion veduta tentare un bilancio di una visita che si può già definire storica. Lo abbiamo incontrato per raccogliere le sue impressioni a caldo in una conversazione a tutto campo. «Il Papa - dice Pizzaballa - ha parlato con grande chiarezza, ma senza chiudere la porta in faccia a nessuno, mostrando anche a noi cristiani di qui che è possibile, pur essendo pochi, incontrare e parlare con tutti. Dobbiamo fare tesoro di questa esperienza».


«Le polemiche? Erano previste. La visita di un Papa in Israele non può che suscitare forti emozioni, ma anche grandi attese. E inesorabilmente anche forti delusioni. Credo che poi, con calma, gli israeliani riprenderanno in mano i discorsi e considereranno nuovamente gli atteggiamenti, per capire cosa realmente è stato detto e non cosa non è stato detto».
Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha seguito passo passo il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa fin dall’avvio in Giordania, l’8 maggio. E può a ragion veduta tentare un bilancio di una visita che si può già definire storica.
Una delle ossessioni dei giornali israeliani, fin dall’arrivo del Papa a Tel Aviv, è stata quella di misurare parole, silenzi e presunte reticente a proposito della Shoah e del negazionismo. «I giornali israeliani avevano loro attese – reagisce padre Pizzaballa – ma l’agenda del Papa era un’altra, in continuità con il magistero del suo predecessore».

Il Papa ha ribadito che con l’ebraismo c’è un legame inscindibile… Ha usato parole dure per il nazismo definito «regime senza Dio». Ha condannato il negazionismo. Eppure non è bastato.
Tra Chiesa ed ebraismo ci sono stati duemila anni di difficoltà che non si superano in un batter d’occhio. Sono processi lenti, coinvolgono il vissuto e i sentimenti, non solo la ragione. C’è ancora tanta gente, qui in Israele, che ha il numero sul braccio (la matricola tatuata dai nazisti agli internati nei campi di concentramento – ndr). Credo che comunque un ripensamento nell’opinione pubblica israeliana sia già cominciato. Uno degli ultimi editoriali di Yedioth Aronoth (uno dei maggiori quotidiani israeliani – ndr) dice proprio questo: la Chiesa si è già scusata e il Papa ha già chiarito sul negazionismo. Non possiamo pretendere sempre le stesse cose.

Tra le polemiche innescate dai giornali, anche la presunta lista dei luoghi pretesi dalla Chiesa…
Una polemica faziosa, fondata sul nulla. Innanzitutto non c’è la richiesta da parte della Chiesa di sovranità su nessun luogo. Non c’è neppure richiesta di proprietà, perché dei santuari siamo già proprietari. C’è una discussione in corso, una trattativa con il governo, che è entrata nella questione dei luoghi santi. La Chiesa vuole dare ai luoghi santi una garanzia che essi non verranno in futuro, in alcun modo, confiscati o destinati ad altro uso. In che modo questa garanzia debba essere espressa è appunto oggetto di discussione.

Ci si aspettava prima della visita del Papa un’accelerazione nei negoziati della commissione bilaterale che sta trattando la questione delle imposte sulle proprietà della Chiesa. Ma poi tutto è slittato nuovamente.
Sicuramente entro l’anno si arriverà ad una definizione. Ormai la gran parte delle questioni è risolta. Resta da definire il nodo delicato dei luoghi santi, come dicevo. Ma non dobbiamo avere fretta. Abbiamo aspettato tredici anni e non dobbiamo concludere in pochi mesi con il rischio di rovinare quello che abbiamo fatto fin qui…

Anche il Cenacolo è compreso in questa trattativa?
Il Cenacolo rientra nella trattativa, anche se personalmente sarei per separare questo punto dagli accordi che si faranno. Se mi chiede della restituzione, le rispondo solo che viene data per imminente dal 2000, ma la strada non è semplice. Dobbiamo studiare il problema con attenzione, per le implicazioni che potrebbe avere. Ci vuole ancora del tempo.

Il Papa è stato accusato dagli israeliani di non aver capito il conflitto.
L’ha capito molto bene. Sono i giornali israeliani che fanno fatica a capire la prospettiva palestinese. Il Papa non è un cittadino israeliano e non può certo fermarsi alle paure o ai problemi degli israeliani. Il Papa deve farsi portavoce delle istanze di tutti. È questo che gli israeliani non hanno compreso.

Se dovessimo tentare un bilancio di questa visita?
Dal punto di vista pastorale il bilancio è assolutamente positivo. La comunità cristiana deve smetterla; non può più permettersi di piangersi addosso, perché ha ascoltato parole molto forti e molto chiare: non siete soli, non siete abbandonati. Il Papa l’ha detto in molte circostanze. Ha parlato con grande chiarezza, ma senza chiudere la porta in faccia a nessuno, mostrando che è possibile, pur essendo pochi, incontrare e parlare con tutti. Ha dato grande visibilità alla comunità cristiana, il che non era scontato. Dobbiamo fare tesoro di questa esperienza.

E dal punto di vista politico?
È stato un viaggio di grande respiro, a cominciare dalla Giordania. Se devo ricordare un momento, per me la giornata di Betlemme è stata memorabile, per l’incontro con la comunità locale e con il presidente Abu Mazen e la visita al campo profughi di Aida… Il Papa è stato molto chiaro nei suoi messaggi. Non credo che si possano fraintendere le sue parole e si possa non apprezzare la chiarezza e la sincerità.
Il processo di pace comunque ha i suoi ritmi. Sicuramente il viaggio del Papa ha aiutato a sciogliere molte paure, ma tante ancora ne restano. Spetta a noi andare avanti sulla strada che Benedetto ha tracciato. Mi auguro che i palestinesi siano in grado di riflettere, senza lasciarsi troppo prendere dalle emozioni. E ritrovino una loro unità per fare scelte forti e coraggiose. E che gli israeliani riconoscano le giuste aspirazioni dei palestinesi.

A Nazaret Benedetto XVI ha visto il premier Benjamin Netanyahu. La stampa ha riferito che tra i punti toccati c’era la richiesta di ottenere i visti per sacerdoti e religiosi – si dice 500 – provenienti dai Paesi arabi… Una questione che sembra non trovare mai sbocco.
Onestamente non conosco nel dettaglio il contenuto dell’incontro. Io stesso ho appreso dai giornali che ci sarebbe stata una chiusura da parte israeliana. Credo che anche in questo caso si debba avere pazienza. Gli israeliani e la gerarchia ecclesiastica cattolica di Terra Santa hanno sensibilità molto diverse su questo punto. Bisogna lavorare insieme per trovare una strada che salvaguardi la possibilità della Chiesa di avere i sacerdoti che le servono, da qualsiasi Paese essi provengano, senza condizionamenti. Ma che d’altra parte si tenga conto della prospettiva d’Israele.

Per recarsi a Betlemme il Papa ha attraversato il Muro.
Credo che sia stato molto colpito e commosso dal passaggio e dall’esperienza del Muro, ma anche dall’incontro con la popolazione del campo di Aida, dai bambini, dai loro volti…

Il viaggio si è caratterizzato anche per l’attenzione ecumenica e interreligiosa…
Il dialogo con il mondo islamico è iniziato in Giordania, dove si è svolta una parte importantissima di questo viaggio. Ci sono stati momenti molto forti anche in quel Paese. Qui in Israele i due incontri interreligiosi ci hanno dato la misura vera dello stato del dialogo: a Gerusalemme abbiamo visto la difficoltà, i pregiudizi e le strumentalizzazioni politiche (il riferimento è all’intervento fuori programma e fortemente polemico verso Israele dell’imam al-Tamimi durante l’incontro dell’11 maggio al Centro Notre Dame – ndr). A Nazaret, la sera del 14, abbiamo visto invece il desiderio sincero d’incontro. Il dialogo interreligioso ha questi alti e bassi.
Per quanto riguarda il rapporto con le Chiese, credo che più dei discorsi abbiano avuto importanza in questo viaggio il clima di disponibilità e simpatia dimostrati dalle due Chiese (greca e armena) a cui il Papa ha reso visita. Non tutto era scontato. Non è un mistero, del resto, che le Chiese ortodosse guardino con grande simpatia a questo Papa. Tutte le volte che facciamo qualche incontro tra le Chiese, sono loro che ci ricordano i discorsi di Benedetto XVI, che apprezzano molto.

Il Papa ha citato in più occasioni san Francesco e il francescanesimo. Ha invitato tutti ad essere «strumenti di pace».
È stata una sorpresa piacevole. Il richiamo a san Francesco e alla via francescana nel campo di Aida è stato un momento forte. Io che sono francescano l’ho letto come un richiamo alla mia responsabilità qui. Dobbiamo prendere ancora più coscienza del compito che la Chiesa ci ha affidato stando qui, in questa terra. Abbiamo una missione da compiere e una Parola da far conoscere alle persone che vivono quaggiù.

Come metterete in pratica la consegna che il Papa ha lasciato alle Chiese di Terra Santa: lavorare insieme per educare cittadini responsabili e cristiani maturi?
Una delle caratteristiche di questa visita è stato il livello di corresponsabilità tra le Chiese cattoliche dei vari riti nell’organizzazione dei diversi eventi. Il viaggio ha messo a nudo, dobbiamo dirlo con franchezza, anche i limiti e le difficoltà che ci sono nelle relazioni tra di noi. Bisogna trarne una lezione. E lavorare insieme per migliorare.

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